Tratti basagliani: fisionomia e rivoluzione di un pensiero eterogeneo

Tratti basagliani: fisionomia e rivoluzione di un pensiero eterogeneo

La risocializzazione è fondamentale per il percorso di cura del paziente psichiatrico. Tuttavia, non sempre è semplice e non sempre è possibile, poiché il contesto in cui viviamo si trova ad avere delle limitazioni, rappresentate da una società asfittica che schiaccia ogni pulsione identitaria dell’individuo volendo omologare tutti secondo modelli e paradigmi da seguire o inseguire senza successo, lasciando il diverso in una dimensione di oblio, stigmatizzato perché tale e isolato perché non integrato in un sistema ove tutto è già veicolato.

Ma che ruolo ha la formazione in una società che va avanti a compartimenti stagni secondo modelli già impostati? L’articolo “Basaglia, oggi” di Laura Ghirlandetti offre uno spunto interessante: essa è fondamentale fintanto che si fissano dei punti di de-istituzionalizzazione nelle università ed oltre ad un approccio orizzontale del sapere, un interscambio nelle materie come ad esempio psicologia e filosofia.

Ma qual è il vero significato di stare bene e male? Per quanto riguarda il disagio mentale, la fa molto da padrone il contesto culturale di riferimento e ciò che (a parte azioni eclatanti) sancisce quel confine tra “normale” e desueto. Già la psicosi non è un qualcosa di anormale ma una nostra risposta ad una condizione di non vita che ha compresso le emozioni. Lacan asseriva che la follia è il tentativo ultimo di esprimere la propria libertà strozzata dal concetto del “dominante” inteso come modello soverchiante l’originalità e l’unicità dell’individuo che non necessariamente deve per forza uniformarsi ad un branco. Al contempo però non bisogna ricadere in ragionamenti troppo psicanalizzanti, poiché la psicanalisi essendo un mero rapporto duale medico-paziente non basta a far crollare l’istituzione manicomiale, per quello ci vuole ben altro, a dirimere i nodi è sempre lei, l’azione!

Ciò non può prescindere da una vera e propria battaglia per affermare la soggettività dell’identità del disagiato che sottoponendosi ad una cura vuole far parte anche di un modello di benessere, ma questa pratica non dev’essere troppo totalizzante poiché si rischierebbe di disumanizzare il paziente. I tratti peculiari del paziente vanno tutelati in quanto la sua soggettività può anche tramutarsi in espressione artistica. In particolare il teatro diventa il luogo dove la follia, grazie alla base logica costituente il movimento estroso di quest’arte (la finzione), può esprimersi. All’interno di questo spazio vi è l’epoché, la sospensione del giudizio imperativo ed opprimente di omologazione della società. Questa condizione comune alla pratica della psicoanalisi libera l’individuo dalle catene che opprimono la mente ed il corpo ed il tutto si configura in una sinergia relazionale con il prossimo che riflette ciò che si è perduto. Affianco a ciò è fondamentale il reinserimento dell’individuo nella società.