Non si può ricondurre in modo semplicistico ai modelli estetici di magrezza imposti dalla società contemporanea lo sviluppo di un disturbo alimentare, dichiara Liliana Dell’Osso, Presidente della Società Italiana di Psichiatria, in occasione del World Eating Disorders Action Day del 2 giugno.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una inversione e trasformazione dell’immagine della donna, eccessivamente longilinea, senza imperfezioni, a differenti immagini che ripropongono l’autenticità e le variegate forme che il corpo può assumere. Lampanti sono le pubblicità inclusive che seguono decisamente il messaggio del movimento del body positivity.
Questo basta però ad arginare un fenomeno in aumento?
Su questo interrogativo si focalizzano i dati riportati dall’ANSA il 31 maggio 2025, lasciando emergere che in Italia siano oltre 3 milioni di persone a convivere con un disturbo del comportamento alimentare.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, le nuove diagnosi di disturbi alimentari (anno 2020) sono cresciute del 40% tra i casi comprendendo una fascia di età dai 15 ai 25 anni; solo l’anoressia colpisce l’1% della popolazione di cui il 90% donne.
La critica mossa dalla presidente Liliana Dell’Osso mira sicuramente a non lasciar credere che un fenomeno così complesso possa essere arginato esclusivamente dal cambio di comunicazione mediatica e culturale a cui stiamo assistendo.
Sappiamo quanto le relazioni che si sviluppano tra gli esseri umani e i propri corpi sono forse le più complesse da spiegare e quanto l ’immagine corporea si presenta in realtà fin dall’infanzia come un mezzo di comunicazione sociale e di rapporto con gli altri.
Noi riteniamo che le parole siano importanti, in quanto veicolo di significati appunto che trascinano con sé approvazione, disapprovazione o neutralità.
A questo proposito rilanciamo il Vademecum che nasce dalla collaborazione tra Ordine dei Giornalisti, Rai per la Sostenibilità ESG e Dipartimento Salute Mentale dell’Asl Roma2, per informare responsabilmente sulla salute mentale rivolto a chi cura l’informazione per promuovere un linguaggio sempre più consapevole e meno discriminante.
L’attenzione ai fattori socioculturali resta, in aggiunta non si deve dimenticare, sottolinea la presidente, la vulnerabilità individuale che costituisce l’altro fattore in gioco.
Ma alla luce dei dati emersi, cosa fare?
L’utilizzo di una terminologia appropriata è sicuramente raccomandato poiché riflette un approccio più ampio e più integrato di patologie complesse che colpiscono mente e corpo ancora oggi difficili da intercettare e sottovalutate.
Spesso la causa dei Disturbi del Comportamento Alimentare è stata associata quasi esclusivamente alla famiglia. Ciò che è importante ricordare è che i disturbi mentali, inclusi quelli alimentari, non sono ascrivibili a un’unica causa, sono i fattori bio-psico-sociali quelli che favoriscono o meno l’insorgenza di un determinato disturbo, incluso quello familiare.
È in questa direzione che si muovono Società Scientifiche e Associazione Familiari, come nell’esperienza riportata da Roberta Covezzi, Responsabile Programma DCA AUSL di Modena, dove il focus viene posto proprio sulle famiglie pensate non come causa ma come risorsa preziosa.
Abbracciare emotivamente la persona, e in questo caso l’adolescente che ha un disturbo della condotta alimentare, è l’obiettivo, cercando di formare il sistema familiare ad un utilizzo di risorse e competenze che liberano dall’isolamento e dall’impotenza.
La dott.ssa Mara Indrimi, Asl Roma2, con lo slogan “Dai peso alla tua libertà”, vuole riuscire a descrivere tutta l’importanza del lavoro terapeutico che sta dietro alla UOSD dei Disturbi del Comportamento Alimentare del CTO romano. Il disturbo alimentare non è cosa di cui bisogna vergognarsi, sottolinea, ma è una condizione su cui è importante chiedere aiuto: perché chiedere aiuto dà la libertà che è parte fondante del benessere. (Vai all’intervista)
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