Sergej Vasil’evič Rachmaninov. Un idolo senza uguali. La sinfonia del Volga

Sergej Vasil’evič Rachmaninov. Un idolo senza uguali. La sinfonia del Volga

Sergej Rachmaninov è stato un compositore russo, naturalizzato statunitense, che vive ancora oggi nei cuori e nello spirito di chi lo ha amato e conosciuto, sia di persona, sia attraverso le sue opere. Si tratta di un compositore e pianista tra i più versatili e prolifici che la storia della musica abbia conosciuto. Oltre tutto un genio senza comparazioni.

Infatti egli è passato alla storia come colui che la natura aveva dotato di caratteristiche rare, senza uguali, come la conformazione di una mano ampia che gli permetteva di abbracciare una quindicesima sulla tastiera del pianoforte. Tutta la sua produzione risentirà di questa complessità formale e tecnica, oltre che sonora.

Nato l’1 aprile del 1873 e morto il 28 marzo 1943, in una famiglia modesta ma appassionata di musica, inizia fin da piccolo lo studio del pianoforte rivelando  da subito alla sua insegnante spiccate doti e un talento particolare.

Il linguaggio stilistico di Rachmaninov solca decisamente i confini tra il Romanticismo della seconda metà dell’Ottocento e l’espressionismo dei primi anni del Novecento. Il suo romanticismo è sempre intriso di melanconia, di tenera profondità, un magma di sentimenti governato da una melodia ed armonia nostalgiche.

Cieli plumbei e un’intensità sofferta si stagliano nelle sue opere più importanti, tra cui L’isola dei morti. Rachmaninov è follemente innamorato della musica, in quanto riconosce che questa ha il potere di eternizzare, di far rivivere cioè, in chi l’ascolta ed esperisce, il momento creativo. Tutte le sue opere sono impregnate di idealismo, un idealismo dai toni rivoluzionari. Inoltre, anche se lontano dai tumulti dell’Ottobre del ’17, il musicista immette tutta l’ispirazione  e la passione propri della semantica della rivoluzione, declinandola in un gesto rivoluzionario, soprattutto quando siede al pianoforte.

Sergej, dunque, rappresenta l’ultimo dei romantici, cosi come Ludwig van Beethoven è stato, per la critica, l’ultimo dei classici; si colloca come un profeta ai limiti della ricerca esplorativa. Un anticipatore avveniristico, insomma.  Ecco lo sguardo che si erge all’orizzonte.

Il compositore ebbe una giovinezza intensa e a tratti sofferta, anche a causa delle sue umili origini, ma il primo vero trauma che causò il vuoto creativo al musicista avvenne nel 1897 quando, a San Pietroburgo, ci fu la rappresentazione della  prima della sinfonia n.1 in re min., op.13. L’autore aveva solo 23 anni e questo fallimento iniziale fu per la sua verve una autentica delusione che lo fece naufragare in una profonda depressione. Questo stato  durò circa tre anni.

Fu così che il musicista decise di rivolgersi alla psicoanalisi. In quel periodo, però, la psicanalisi era ancora agli esordi; basti pensare che un personaggio come Freud indagava allora i meandri della mente e dell’anima, interpretando i sogni. Tuttavia, una situazione come quella che stava vivendo il compositore non era ascrivibile ai disturbi mentali così come previsto dai manuali di psicopatologia.

Dunque, grazie ad una giusta cerchia di amici, decise di contattare il medico psichiatra Dahl Nikolaj. Questi curava attraverso l’ipnosi e sarà attraverso la suggestione ipnotica che Sergej, dopo anni di terapia, riuscì a riprendere la mano e a rinvigorire il proprio talento. Evidentemente la fama lo aspettava, bussava alla sua porta. Compose infatti nel biennio tra il 1900-1901 un’opera monumentale, il secondo concerto per pianoforte e orchestra in do min., op.18. Eseguito con il compositore come solista alla società filarmonica di Mosca e con l’orchestra diretta da, niente di meno che, Alexandr Ziloti.

Rachmaninov passa alla storia come un gigante della tastiera, una persona dotata di grande lirismo, ampiezza timbrica ed espressiva, un ingegno strutturale dove è sempre la conduzione melodica a dominare la dissonanza; Rachmaninov è stato anche un uomo di profonda cultura, impegnato ad affrontare su più fronti temi esistenziali quali il significato della vita, la morte, l’amore. Egli è l’incarnazione di un vero poeta romantico della musica classica.

La sua figura rimane ancora oggi molto enigmatica, infatti in lui si intrecciano bipolarmente esaltazione ed insoddisfazione, entusiasmo e depressione. Gli anni di silenzio produttivo, tuttavia, non sono trascorsi invano; l’inattività non è corrisposta necessariamente ad una inattività emotiva e mentale, ad una mancanza di creatività.

L’umore del poeta migliorò comunque significativamente quando, dopo anni di fidanzamento, gli fu consentito finalmente di sposare la cugina Natalia. Un legame per la vita, un’unione che si protrasse sino alla morte del compositore.

Gli eventi e gli sconvolgimenti politici che contraddistinsero la storia dei primi anni del 900, tra cui l’insediamento del governo di Stalin e la censura culturale che ne conseguì, costrinsero, a più riprese, il musicista a emigrare negli Stati Uniti. La sua prima volta fu nel 1909; nell’occasione compose il terzo concerto per pianoforte e orchestra. Nel cuore della California, pur lontano fisicamente dalla sua amata Russia, sarà ben accolto e apprezzato. Qui, in America, a Beverly Hills, abbandonerà la vita nel 1943.

Proprio sulla soglia del baratro, sul procinto di sprofondare, molti talenti sembrano dare il meglio di sé, come se stati di grande sofferenza ed ossessione fossero responsabili della ricchezza e vividezza delle opere creative. Un meccanismo subdolo, di tipo sublimativo, a cui nemmeno Rachmaninov si sottrasse.

Molta letteratura, narrativa e cinematografica, è stata realizzata a seguito della morte dell’autore, tra cui il famoso film Shine, di Scott Hicks, uscito nel 1996. È la storia di David e Peter, figlio e padre, dove protagonista è la relazione conflittuale tra i due e, in primo piano, la proiezione ed interiorizzazione di desideri frustrati ma, dove a vincere, alla fine, è la bellezza della musica pianistica, in questo caso di Rachmaninov. È un’opera cinematografica in cui sembra rispecchiarsi  a tratti la malinconia e la fragilità del famoso musicista. Alla fine della storia, il figlio David, a causa della mancanza di fiducia e stima del padre, si avvicina alla pazzia: finirà ricoverato per anni in una clinica psichiatrica, subendo numerosi elettroshock.

Citando le dirette parole di Sergej:“Comporre è una parte essenziale di me, come respirare, mangiare, è l’espressione dei miei pensieri più profondi. La musica nasce dal cuore e si rivolge al cuore. È amare. Sorella della musica è la poesia, e madre la sofferenza.” “la creatività è un mondo misterioso in cui, se si ha fortuna, si ha a che fare con una fonte inesauribile”.

“Quale altra funzione può avere mai la musica se non risanarci?”

“Io sono me stesso soltanto nella musica. La musica basta a una vita intera, ma una vita intera non basta alla musica”.