Molly era una ragazza felice che, a causa di ciò che aveva visto su social come Pinterest e Instagram, si è tolta la vita il 21 novembre 2017 in Inghilterra, sei giorni prima del suo quindicesimo compleanno. Nei primi tempi si è pensato che la sua morte fosse stata causata da atti di autolesionismo conseguenti a una forte depressione: solo successivamente si è giunti alla conclusione che fossero stati i social network a contribuire al suo suicidio.
Questa vicenda è stata raccontata nel programma “Presa diretta”, nella puntata intitolata “Scatola nera”. Il servizio tratta della potenza degli algoritmi dei social network che finiscono per fare danno alle persone più giovani, in particolare alle ragazze adolescenti.
La ragazza ha sofferto di depressione, tenuta nascosta a chi le fosse vicino, e l’essere costantemente sovraesposta a certe immagini così violente ha causato soltanto conseguenze peggiori, in particolare per una persona fragile come lei: la psichiatra infantile di Meta, ha confermato come certe immagini fossero sicure e pubblicate soltanto per sensibilizzare su temi come il suicidio e l’autolesionismo, una pessima pubblicità per Zuckerberg.
Nonostante il processo avvenuto poco dopo la morte della piccola Molly Russell e dopo aver mostrato in esso le immagini sottoposte alla sua visione, dopo anni queste ultime sono ancora visibili anche se in maniera più difficile, a volte anche in maniera sfocata per cui c’è necessità di cliccare sulla foto per vederla “meglio”.
Ci si augura che le piattaforme come Meta e i social sottoposti ad essa, stiano più attenti ai contenuti che girano su di essi, oltre al fatto di sensibilizzare di più i giovani su certi temi potenzialmente negativi.
L’impegno alla prevenzione della salute mentale in età evolutiva non è più prorogabile. Non lo è mai stato, ma all’epoca dei social in cui tutto è facilmente accessibile, anche in maniera involontaria e senza limiti, al di là della consapevolezza di ciò che è giusto o sbagliato, lo è ancora di più.
Antonella Costantino, Presidente della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’adolescenza, dice:
“Immaginiamo che ai servizi di neuropsichiatria infantile dovessero arrivare 1.2 /1.5 milioni di persone. Stiamo parlando del 20% della popolazione in età evolutiva. Se avessimo questo tipo di problemi in oncologia pediatrica ci sarebbe la rivoluzione. Siccome parliamo di salute mentale ci mettiamo una pezza e facciamo finta di niente. Abbiamo un gravissimo problema di salute pubblica“.
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