Psicofarmaci in carcere. Il XX Rapporto Antigone esprime una valutazione critica

Psicofarmaci in carcere. Il XX Rapporto Antigone esprime una valutazione critica

Il XX rapporto di Antigone riapre il discorso sull’utilizzo degli psicofarmaci nel sistema penitenziario. Nonostante sia attestato che il 12% dei detenuti (circa 6.000 persone) soffra di patologie psichiatriche gravi – a dispetto dello scorso anno quando l valore era pari al 10 % – il sistema carcerario italiano ancora non è pronto a prendersi cura di loro come si deve.

Oggi non è più possibile “scaricare” sulla nuova istituzione delle REMS tutti i detenuti con patologie psichiatriche, indi per cui vi sono metodologie alternative per tentare di prendersene cura: dentro e fuori dal carcere stesso.

Per quanto riguarda il “fuori” si parla di detenzione domiciliare, come se il malato psichico fosse paragonato a quello fisico; altrimenti l’alternativa rimane sempre l’interno del sistema penitenziario, nonostante le evidenti difficoltà riscontrate, con le ATSM (Articolazioni per la Tutela della Salute Mentale).

Continuano ad essere poche le ore di servizio di psichiatri e psicologi all’interno delle carceri, rispettivamente 9,14 ogni 100 detenuti (un miglioramento c’è però, dato che l’anno precedente erano 8,75) e 19,8 ore ogni 100 detenuti per gli psicologi.

Le donne soffrono in percentuale di maggiori problemi psichici rispetto agli uomini: anche nell’utilizzo di psicofarmaci si può fare lo stesso discorso, in quanto alle detenute vengono somministrati psicofarmaci per il 63,8% del totale.

Si sta andando sempre di più verso un sistema penitenziario “psichiatrizzato” e meno umano, a causa anche dell’inesperienza del trattamento dei detenuti con problemi psichiatrici gravi in carcere.

 

Per leggere l’articolo di Antigone sugli psicofarmaci clicca qui.

 

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