La non punibilità nel processo penale: quando la diagnosi diventa un privilegio

La non punibilità nel processo penale: quando la diagnosi diventa un privilegio

Cisterna di Latina, spara e uccide la madre e la sorella dell’ex fidanzata, 13 febbraio 2024; Gaza, oltre 200 vittime in 24 ore, 28 dicembre 2023; Missile russo su una veglia funebre a Gorza: più di 50 civili ucraini morti. Di fronte a comportamenti violenti che sconvolgono, come un omicidio atroce senza apparente motivazione, si tende a etichettare i responsabili come “malati di mente”, cercando di comprendere e affrontare la situazione nel modo più confortante possibile: è pazzia, è altro da noi “normali”, per dirla alla Checco Zalone.

I Dottori Emanuele Caroppo, Gianluca Monacelli, Jennifer Williams, Giuseppina Gabriele, Massimo Cozza  discutono nel seguente articolo sul tema dell’impunità per quanto riguarda la salute mentale.

I disturbi mentali non sono neanche predittivi, in modo statisticamente significativo, di comportamento aggressivo futuro, come evidenziato dallo studio National Epidemiologic Survey in Alcohol and Related Conditions nel 2008. L’idea di attribuire automaticamente la responsabilità del comportamento violento alla malattia mentale, la “psichiatrizzazione” della violenza, insomma, è un errore che riduce la complessità della comprensione di questo fenomeno e ci riporta indietro nel tempo, a prima dell’azione riformatrice di Franco Basaglia, quando la pericolosità per sé e per gli altri guidava le decisioni di Trattamento Sanitario Obbligatorio sugli autori di reato. Come noto, in Italia, dopo la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, nel 2015 sono state create le Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS), strutture sanitarie di accoglienza dove possono confluire e condividere gli stessi ambienti e procedure, indipendentemente dal tipo ed entità di reato, tanto un autore di un omicidio quanto una persona che ha opposto resistenza a pubblico ufficiale, purché affetti da disturbi mentali e ritenuti socialmente pericolosi. Alla fine del mese di maggio 2023, la Società Italiana di Psichiatria ha condiviso un’allerta preoccupante: più di 700 individui ad alto rischio sociale, protagonisti di reati, rimangono nel nostro tessuto urbano andandosi a sommare agli altri 15 mila soggetti sotto supervisione dei Dipartimenti di Salute Mentale che, già provati da scarse risorse e carenze di personale, si trovano a doversi occupare di un ulteriore strato di complessità sociale e clinica. In altre parole, per entrare in REMS c’è una lunga lista di attesa. Eppure, le linee guida dell’Organizzazione Mondiale di Sanità, oltre a quanto detto precedentemente, sottolineano l’importanza di adottare un approccio ecologico per comprendere le cause del comportamento violento, considerando una vasta gamma di fattori che vanno oltre la dimensione psichiatrica, come quelli individuali, relazionali, comunitari e socio-ambientali.

Prima che le conseguenze diventino ingovernabili, è necessario affrontare con urgenza e determinazione un problema che sarebbe illusorio e fallace: tentare di risolvere attraverso il semplice aumento del numero dei posti letto in REMS. Uno dei quesiti che il Giudice pone al Consulente Tecnico d’Ufficio, così recita: «In caso di accertato vizio di mente dica altresì il perito se il soggetto sia socialmente pericoloso». Le stesse linee guida del NICE1 indicano che non ci sono strumenti di valutazione affidabili per prevedere il comportamento violento e senza il rischio di falsi positivi (prevedere un comportamento violento che non si verifica) o falsi negativi (non riconoscere un rischio di violenza quando è presente). E se, invece di cercare risposte che la scienza afferma essere impossibili, si considerasse l’idea di separare il processo per un reato dall’infermità mentale e si indirizzasse il paziente verso un’osservazione clinica approfondita condotta da esperti multidisciplinari in un ambiente idoneo, come accade, ad esempio, nel periodo di “Trial” irlandese? In salute mentale, non esistono confini netti tra la “normalità” e la “patologia”, come sottolineato ogni ottobre durante il Ro.Mens, il Festival della Salute Mentale organizzato dalla ASL Roma 2 per promuovere l’inclusione sociale e combattere i pregiudizi. La Cassazione ha recentemente stabilito che i disturbi di personalità, se pervasivi e duraturi nel tempo, possono portare all’impunibilità. Questo ha fatto crescere i casi in cui non si può procedere in giudizio, in particolare dopo la giusta chiusura degli ex OPG, proprio perché sono stati spostati i confini tra la punibilità e l’impunibilità dei reati, anche dei più violenti. I confini tra giustizia e impunità sembrano sfumare, perdendosi nella nebbia di un sistema che vacilla tra il dovere di punire i colpevoli e la cura e la protezione dei presunti malati mentali e della comunità. In questo labirinto di dubbi e contraddizioni, si cerca di rispondere a questa domanda: “la persona è veramente responsabile o può essere considerato vittima di un disturbo?”

 

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