Grégoire Ahongbonon, il Basaglia d’Africa che toglie le catene dello stigma

Grégoire Ahongbonon, il Basaglia d’Africa che toglie le catene dello stigma

Nell’anno del centenario dalla nascita di Franco Basaglia si sta parlando a lungo di come le sue idee e convinzioni abbiamo portato a cambiamenti che ancora vengono attuati, come un effetto cascata.

Oggi portiamo alla vostra attenzione la storia di Grégoire Ahongbonon che da più di 30 anni dedica la sua vita a togliere le catene alle persone che soffrono di disturbi mentali nell’Africa Occidentale (Costa d’Avorio, Benin, Burkina Faso e Togo). E togliere le catene non si intende in accezione metaforica, bensì letterale, in quanto in alcuni stati dell’Africa i malati mentali, come gli epilettici, vengono ancora considerati posseduti dal demonio e quindi legati con grosse catene di ferro (in spazi angusti o anche pubblicamente) per paura e punizione ma anche per protezione degli altri oltre che di se stessi.

Le azioni di Grégoire, conosciute oggi in tutto il mondo, hanno fatto si che venisse soprannominato “il Basaglia d’Africa”, per la similitudine del suo pensiero a quello di Franco Basaglia.

La prima volta che gli capitò di entrare in contatto con una persona legata e confinata, dalla sua stessa famiglia, fu il 1991, e da quel giorno non fu più in grado di guardare dall’altra parte. Nel 1993 ha fondato l’Association Saint Camille de Lellis la quale “si propone di restituire la vita alle persone affette da disturbi mentali, abbandonate, trascurate e incatenate nelle società tradizionali e africane. I suoi centri, presenti ad oggi in Costa d’Avorio, Benin e Togo, offrono loro assistenza psichiatrica a costo sociale e adattata alla realtà del continente africano, sostenendone al tempo stesso il reinserimento.

Il successo della sua battaglia contro lo stigma e l’esclusione sociale hanno portato l’Organizzazione Mondiale della Sanità a conferirgli il premio “Franco Basaglia” nel 1998. I centri aperti dalla sua associazione sono di accoglienza, di lavoro e di cura. Parole che prima di allora non erano mai state dedicate a coloro affetti da una malattia mentale. Anzi, questi venivano, e in molti posti vengono tutt’ora, esiliati o peggio nascosti, legati e dimenticati. Oggi sono gli stessi ex dimenticati che aiutano i malati psichiatrici, trovandoli e liberandoli o curandoli una volta arrivati al centro.

Si cerca di remare contro il pregiudizio della popolazione, che colpisce tutti dai più piccoli ai più grandi, compresi i medici. La richiesta di aiuto è alta e in aumento, nonostante ciò quasi tutti i governi africani destina il meno dell’1% dei fondi ai servizi di salute mentale. Gli psichiatri sono pochissimi, uno ogni 500.000 abitanti. È un lavoro che incute paura, soprattutto quando prevale la convinzione che i malati di mente siano posseduti dal demonio e che il solo avvicinarsi a loro possa comportare un rischio di contagio.

Grégoire non è nato con questa vocazione, all’inizio lavorava come tassista e si occupava di macchine. Successivamente è entrato in depressione a causa di una grande crisi economica e si è quasi tolto la vita. Racconta che sono stati un missionario francese e la sua forte fede in Dio a salvarlo, grazie alla quale ha iniziato a frequentare insieme alla moglie un gruppo di preghiera che visitava i malati in ospedale. Un giorno gli capitò di incontrare per strada una persona con un disturbo mentale, che vagava nudo mentre cercava cibo nei rifiuti; le altre persone lo scansavano, altre addirittura si fermavano per picchiarlo. È normalizzando questi comportamenti che si ha paura della malattia mentale, sentimento che non risparmiava nemmeno lui, ma quel giorno si chiese perché provasse timore e si avvicinò. Il giorno dopo gli portò acqua e cibo e piano piano cambiò tutto. Iniziò a portare i malati che incontrava in una piccola cappella che il gruppo di preghiera aveva a disposizione, trovando l’aiuto anche di alcuni medici, creando una prima forma, elementare, di centro di accoglienza. Da quel momento iniziò a suscitare curiosità nei villaggi vicini, fino a ricevere una chiamata da una donna che chiedeva aiuto per il fratello, malato mentale e incatenato al pavimento. Era il 1991, e dal quel giorno le persone liberate sono state circa 200 mila. Appena rompe le catene, per prima cosa Grégoire le abbraccia.

Il metodo utilizzato nei centri è su diversi livelli:

  1. La persona liberata viene portata in un centro dove viene diagnosticato il tipo di disturbo mentale, viene curata e assistita;
  2. Quando si è in una condizione di stabilità si passa a centri riabilitativi che si occupano specificatamente del reinserimento all’interno della società di origine, dando la possibilità di imparare un mestiere;
  3. Se la famiglia accetta, le persone vengono accompagnate a casa per riprendere il proprio posto nel nucleo familiare e indirizzate ad ulteriori centri dove continuano ad essere seguiti sia a livello farmacologico che terapeutico.

Abbattere un muro non è mai stato così facile, basta un abbraccio. È questa l’intuizione del Basaglia d’Africa. Ovviamente qui l’accezione muro ha un senso metaforico: si fa riferimento agli steccati del pregiudizio. Senza dimenticarsi che in varie zone del mondo sono esistiti ed esistono muri reali che creano un livello di separazione tangibile. Differenze e diffidenze legate alla razza, al sesso e alla condizione sociale. Non potere dire la mia pelle è la tua pelle, non poter dire ti amo a chi si vuole per delle catene che tengono in piedi quella struttura fredda e divisoria che vieta alle nostre forze di esprimersi. In quel continente che è stato la culla dell’umanità con la Rift Valley, dove il cuore degli esseri umani ha iniziato a battere, essa non poteva aver luogo migliore per continuare, l’Africa con i suoi ritmi e la sua natura inarrestabile che detta i rintocchi di un’anima mai stanca che ascolta l’eco della storia, la nostra storia, facendo diventare il continente una vera e propria Love Valley, imbevuta di quel sentimento che scuote i cieli ed accarezza le anime, specialmente quelle che ne hanno più bisogno a causa delle ferite riportatevi.

Fonti:

Vita

Per informazioni sulla Salute Mentale in Africa:

AgeandWealth

Il Sole 24ore