Il film del 2008 “Si può fare”, di Giulio Manfredonia, vuole rappresentare l’innovazione e la rivoluzione basagliana con quelli che sono stati i suoi passi verso il progresso e le sue cadute. In tutto ciò emerge il fatto di come la follia, oltre ad essere una condizione umana, molto spesso è solo una categoria per far stare in una falsa tranquillità il benpensante di turno.
Più nella fattispecie la vicenda è ambientata nel 1983 e si occupa del sindacalista Nello a cui viene affidato l’incarico di essere supervisore in una cooperativa di persone affette da disagio psichico, la Cooperativa 180. L’impatto non è dei più semplici ma Nello, con la sua perspicacia, riesce ad avere un’intuizione, quella cioè di far effettivamente e finalmente lavorare gli utenti commissionando loro dei lavori: la cooperativa viene trasformata quindi da assistenziale a cooperativa di produzione e lavoro. Fa quindi scegliere loro, forse per la prima volta nella loro vita, che cosa preferiscono fare: e da quel momento iniziano a lavorare il legno per montare parquet. Agli inizi, imparando a fare di necessità virtù, gli utenti contro ogni previsione fanno decollare l’attività. Non è però tutto rose e fiori: la compagnia dovrà affrontare anche il tema della perdita, oltre quello dello stigma e del pregiudizio.
È data particolare attenzione anche agli “atteggiamenti” propri dei vari disturbi degli utenti, che trasmettono emozioni e fanno catapultare lo spettatore nella vicenda ancora di più. Tra colpi di scena – positivi e/o negativi che siano – e un finale rivoluzionario, questo film esprime al meglio ciò che anche le persone più fragili possono fare per il gruppo, al meglio delle loro possibilità.
“Siamo una cooperativa di scarti” dice uno dei soci della cooperativa. Questa frase risulta avere una doppia valenza: in primis perché i soci lavoravano con gli scarti del parquet, realizzando anche bellissimi mosaici che piano piano venivano richiesti da sempre più clienti; successivamente perché, in quel periodo, le persone con disagio mentale erano ancora considerate “scarti della società”, in un modo pregiudiziale e diversamente da chi era considerato sano.