- I miei malati sono tutti lavoratori e poveri”.
Basaglia è stato sicuramente consapevole dell’utilità del lavoro nei processi di liberazione e di recupero di dignità delle persone ricoverate nei manicomi. C’è stata quindi, nella sua azione, la convinzione anche della utilità tecnica del lavoro, del salario (oggi diremmo dello stipendio) nei percorsi di costruzione o ricostruzione dell’autonomia relazionale delle persone con sofferenza mentale.
Tuttavia questo non impedisce che nell’affrontare la questione del lavoro la prospettiva di analisi politica prenda quasi il sopravvento sulla riflessione tecnica.
Innanzitutto, quindi, abbiamo l’identificazione del lavoro come uno dei terreni su cui, anche con violenza, si manifesta il potere. Il problema posto è quello della divisione del lavoro, condizione che Basaglia definisce radicalmente, senza giri di parole, di schiavizzazione. Lo stesso Marx era stato più temperato al riguardo, nel libro primo de “Il Capitale” quando aveva individuato nel lavoro salariato margini di libertà molto maggiori rispetto alla schiavitù.
Ma la critica di Basaglia è ancora drammaticamente attuale, a partire dalle notazioni sul rapporto che c’è tra lavoro e salute: che affronta utilizzando categorie ormai marginalizzate e desuete dal dibattito politico, come quella dell’alienazione; ma anche quelle più strettamente quotidiane relative alla sicurezza nei luoghi di lavoro.
C’è quindi, sembra dire, un lavoro, una condizione di lavoro che fa male.
Di fronte a questa condizione, il mondo occidentale risponde attraverso modelli di Welfare che intervengono solo a danno fatto: sistemi di natura riparativa o risarcitoria che non intervengono sulle cause e sui fattori di rischio per la salute ed il benessere dei lavoratori e dei cittadini in misura più ampia.
Basaglia trova una relazione tra le sollecitazioni del movimento del 1968 e le successive lotte sindacali per una maggior tutela dei lavoratori. E forse va ricordato che prima dell’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, in Italia, non c’era una tutela della salute di tipo universalistico, bensì quella basata sulle casse mutualistiche, che si articolava per categorie professionali e che quindi dava ai soli lavoratori ed alle loro famiglie una copertura sanitaria: benché spesso blanda, insufficiente, precaria. Il resto della popolazione, però, i disoccupati, gli emarginati, gli inabili, non avevano neanche quella.
Però anche uno spirito critico come Basaglia riconosce che disporre di mezzi di sostentamento è una condizione indispensabile per affrancarsi e potersi esprimere liberamente. L’uscita dal manicomio – luogo della negazione della vita sociale e dove il lavoro esiste solo nella variante di lavoro forzato, richiede almeno due strumenti: un posto dove vivere e un lavoro. Indispensabili per restituire al sofferente psichiatrico una coscienza e nuove possibilità di relazionarsi con gli altri.
Anche se qualche notazione congiunturale può essere considerata confinata storicamente, ci sono sollecitazioni che restano assolutamente vitali. Ad esempio: a fronte della presunta pericolosità sociale del sofferente mentale, Basaglia ci chiede come dovremmo considerare quella imprenditoria che espone quotidianamente i propri lavoratori a rischio per la loro salute e per la loro vita.
A oltre quarant’anni dalle Conferenze Brasiliane, gli stimoli alla riflessione sono ancora tanti. Ci chiediamo, ad esempio, come avrebbe letto Basaglia il progressivo affermarsi di una società del non lavoro: quella che cerca altri principi di strutturazione, quella che si esprime nelle sotto culture del rifiuto del lavoro, quella di sistemi economici in cui la produzione di valore è sempre meno dipendente dal lavoro. Questa ultima, ne siamo sicuri, sarebbe stata oggetto della sua critica.
- Perché Le Conferenze Basagliane?
La critica alle contraddizioni del mondo occidentale è presente nel pensiero, negli scritti e nell’azione pratica di Basaglia. Avremmo potuto trovare spunti di riflessione quasi in ognuno dei libri che ci ha lasciato. Perché quindi abbiamo scelto le Conferenze Brasiliane?
Provate ad immaginare di avere di fronte non uno psichiatra, ma un intellettuale fondamentale all’interno di una corrente, di un movimento non costituito che ha ridefinito criticamente il pensiero occidentale. Persone come quelle che si trovano nell’indice di Crimini di pace (Goffman, Chomsky, Foucault, Laing solo per citarne alcuni).
Immaginate di avere di fronte questo tipo di intellettuale: e lui parla a voi. Parla per voi.
Leggere Conferenze Brasiliane fa questo effetto: non sembra di avere tra le mani un libro, ma di ascoltare un uomo capace di una visione del futuro per nulla convenzionale. Un uomo che ti racconta quel futuro e le contraddizioni del presente con un linguaggio semplice e scorrevole, senza contorsioni lessicali o grovigli di pensiero; che quasi con naturalezza, ma senza dar nulla per scontato, ti invita a condividere sfide altissime ricordandoti che, tuttavia, la prassi e l’azione quotidiana, la coerenza e la consapevolezza del proprio ruolo, sono tanto utili per gli altri quanto le idee.
“Se la struttura non cambia è Lei che deve cambiare come operatrice, cambiando il suo lavoro e la sua pratica, per dare una situazione di piena coscienza al suo paziente, arricchendolo di quegli strumenti critici di cui noi abbondiamo, pur essendo poco capaci di autocritica”.
Conferenze Brasiliane è disponibile in diverse edizioni e raccolte; quella che abbiamo consultato è la prima edizione italiana, presentata da Agostino Pirella e Paolo Tranchina.
Franco Basaglia, Conferenze Brasiliane, Centro di Documentazione di Pistoia Editore, 1984.
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