Inclusione, rete sociale e senso di comunità. Le buone risorse per la Salute Mentale

Inclusione, rete sociale e senso di comunità. Le buone risorse per la Salute Mentale

Benedetto Saraceno in un articolo pubblicato su Nuovi Paradigmi per la Salute Mentale, The Italian on line psychiatric magazine, fa alcune importanti riflessioni sulla base del bilancio delle attività svolte dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità.

Possiamo considerare tali riflessioni valide e significative ancora oggi?

L’autore sottolinea che dai dati dell’Oms emerge un continuo incremento della incidenza dei disturbi mentali che nel mondo colpiscono almeno 450 milioni di persone. Evidenzia, inoltre che, nonostante esistano efficaci strategie di intervento per la maggior parte dei disturbi mentali, la loro diffusione è scarsa e il loro incremento insufficiente, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Ciò determina un importante gap tra le persone con disturbi mentali che possono accedere ai trattamenti sanitari e coloro che non vi possono accedere.

Chiari indicatori individuati sembrano ostacolare l’accesso delle persone con disagio ai trattamenti appropriati come lo stigma, le discriminazioni e le disuguaglianze fra i vari Paesi nel fornire assistenza ai pazienti con disturbi mentali, la scarsa disponibilità di farmaci, le priorità errate dei diversi Paesi e la gestione inadeguata delle risorse destinate alla salute mentale, la mancanza di strategie appropriate e di formazione professionale sufficiente a livello di assistenza primaria, la scarsa diffusione di politiche rivolte alla salute mentale e di legislazioni efficaci.

Saraceno osserva che l’OMS ha tratto importanti insegnamenti dai contributi delle esperienze dei diversi Paesi nel mondo, quali ad esempio l’utilizzare la comunità come risorsa informale coadiuvante i servizi pubblici psichiatrici mancanti o insufficienti o l’utilizzare i pazienti come risorsa aggiuntiva: in tal caso, il “costo” viene trasformato in risorsa.
L’autore sostiene che le risorse informali e le tecnologie informali svolgerebbero il ruolo di variabili sconosciute che possono avere un ruolo forte nel determinare l’aumento o la diminuzione della qualità dei servizi psichiatrici. Tuttavia, le variabili sconosciute spesso dipendono da quale paradigma assistenziale viene adottato: esclusione versus inclusione, assistenza a breve termine versus assistenza a lungo termine, approccio biopsicosociale versus approccio biomedico, morbidità versus co-morbidità. Tali paradigmi sarebbero possibili fattori in grado di diminuire o di aumentare la qualità.

Il paradigma basato sull’esclusione pone maggiormente l’attenzione sulle percezioni e sui bisogni dell’ambiente, piuttosto che sulla comprensione dell’esperienza del paziente. Questo approccio mette eccessivamente in rilievo il problema della sicurezza, compresa una sopravvalutazione della pericolosità del paziente.

Il paradigma basato sull’inclusione, invece, volge l’attenzione ai bisogni del paziente, alla sua persona e guarda al suo disaqgio senza negare il diritto alla piena cittadinanza.

I sistemi sociali rigidamente organizzati in forme verticali, tendono ad investire prioritariamente sul controllo e la sicurezza piuttosto che in direzione dell’inclusione. Sembra che tali organizzazioni siano qualitativamente peggiori di quelle in cui prevale l’attenzione verso la comprensione del paziente.

Adottare il paradigma dell’inclusione piuttosto che dell’esclusione ha naturalmente profonde implicazioni. Comporta un cambio di direzione concettuale e operativo, implica la necessità di investire a livello di strutture comunitarie piuttosto che in ospedali e posti letto, significa deistituzionalizzare.

Ciò diventa particolarmente importante quando si parla di paradigma di assistenza a breve termine versus assistenza a lungo termine. I sistemi sanitari tendono ad investire esclusivamente nell’assistenza a breve termine con relativa enfasi all’ospedalizzazione. Il problema sorge nel momento in cui il sistema sanitario deve rispondere ai bisogni dei pazienti che necessitano di assistenza a lungo termine. Si potrebbe prospettare di affrontare i casi acuti e le condizioni croniche a livello di comunità piuttosto che a livello ospedaliero.

Adottando il paradigma biopsicosociale diventa cruciale l’individuazione, la costruzione e/o il consolidamento della rete sociale presente.

Infine, spostando il paradigma dalla morbidità alla co-morbidità si tiene conto della complessità della persona. Spesso le persone presentano comorbidità che può riguardare solo disturbi psichiatrici o anche disturbi fisici di pertinenza di altre discipline (ad esempio la cardiologia o l’oncologia). Un approccio aperto ad una visione olistica e d’insieme, integrativa piuttosto che selettiva, produce una maggiore efficacia e diminuisce lo spreco in quanto facilita le connessioni fra trattamento dei disturbi mentali e conseguente aumento della compliance e della aderenza ai trattamenti prescritti per i disturbi fisici.

Saraceno conclude evidenziando che l’OMS riconosce che le cure che vengono fornite all’interno di un contesto di esclusione sono poco credibili ed efficaci e la conseguente importanza di combattere l’esclusione e lo stigma.

La prospettiva per il futuro dunque sembrerebbe porre l’attenzione su precisi indicatori in grado di incrementare la qualità e l’efficacia dei servizi offerti, su cui scegliere responsabilmente di concentrarsi.