Abstract: RECOVERY. Nuovi paradigmi per la salute mentale

Abstract: RECOVERY. Nuovi paradigmi per la salute mentale

Recovery- Nuovi Paradigmi per la salute mentale, a cura di A. Maone e B. D’Avanzo, Cortina, 2015.

La recovery si profila come nuovo paradigma delle pratiche dei servizi di salute mentale che se non garantiscono la guarigione clinica dei pazienti ne facilitano la “guarigione sociale”. Di che si tratta? E’ la volontà del paziente, sostenuto dagli operatori, a riprendere in mano la propria vita recuperando diritti effettivi di cittadinanza. Le evidenze scientifiche sugli esiti delle esperienze finora realizzate esiste ormai un’ampia letteratura. In particolare sui servizi recovery-oriented nordamericani. Numerosi studi dimostrano l’efficacia di un «un processo autenticamente personale» di inclusione nella vita della comunità ridando dignità, ruolo sociale e identità alla persona con disturbi gravi che deve ricostruirsi dopo un’esperienza anche lunga di “perdita”. Tale percorso di recupero deve essere però guidato dal paziente e centrato su di esso, capace di coinvolgere tutte le dimensioni della sua condizione (clinica, esistenziale, funzionale, fisica e sociale) e deve trovare nei servizi un supporto, prima, per verificare preferenze, potenzialità e punti di forza del soggetto e poi per assecondarne il percorso con costanti iniezioni di fiducia e incoraggiamento.  Il percorso è caratterizzato dal raggiungimento non scontato e graduale di obiettivi specifici, concreti e consapevolmente definiti dal paziente nel suo diritto all’autodeterminazione. Il volume raccoglie diversi contributi di studiosi italiani e soprattutto nordamericani che presentano modelli di esperienze realizzate. Tra questi citiamo come esempi: lo “Strengths Model” applicato negli USA, in Australia, Giappone e Hong Kong, che richiede servizi aperti a tutti i contributi del contesto di vita del paziente e della comunità. In questo modello la recovery fa leva sulla «capacità di considerare gli ambienti e le attività ordinarie come contesto di elezione» in quanto la vita quotidiana ha per il paziente il valore di «arena in cui mettersi alla prova». Altro modello è l’inserimento e il supporto lavorativo individuale (“Individual Placement and Support”) che aiuta le persone a scegliere, trovare e mantenere un lavoro. Importante è anche la valorizzazione dei “peer support works”, persone con disturbo mentale che mettono a disposizione la propria esperienza vissuta nel dare sostegno ad altre persone nel percorso di recovery. In Italia sono gli Utenti familiari esperti (UFE) o gli “Esperti di supporto tra pari” (ESP). Nel volume, anche indicazioni sulle competenze necessarie per il “recovery oriented”, proposte metodologiche mutuate dalle esperienze, strumenti di misurazione della recovery e scale di valutazione (come “INSPIRE”, con cui l’utente valuta la sua esperienza rispetto al sostegno ricevuto dagli operatori). Tutto questo conferma la recovery come paradigma della nuova salute mentale.

Frase emblematica: «Non possiamo oggi prevedere se, quando e in che misura il paradigma della recovery potrà effettivamente incidere sulla cultura e sulle prassi dei servizi di salute mentale o se invece esso subirà un destino analogo ad altre “mode” e slogan della psichiatria del passato. Certamente non si può negare che si sia innescato un processo di dimensioni notevoli. Se la ricerca prevarrà sulla retorica, esso potrà realmente dar luogo a decisive trasformazioni dell’assistenza psichiatrica» (pag. 26).