“Heather” di Conan Gray: paragonarsi agli altri pensando che essi abbiano qualcosa in più

“Heather” di Conan Gray: paragonarsi agli altri pensando che essi abbiano qualcosa in più

Il 20 marzo 2020 veniva pubblicato su tutte le piattaforme il singolo Heather del già noto cantante e songwriter americano Conan Gray e ad oggi il brano ha raggiunto quasi due miliardi di streaming su Spotify. Pochi giorni fa lo stesso artista scrive sul suo profilo Instagram “Heather day is coming” (sta arrivando il giorno di Heather) aggiungendo che “quest’anno è il quarto anniversario dell’Heather day”. Sono infatti moltissimi gli utenti che sui social pubblicano la sua canzone ogni anno in questo giorno. Il motivo di questa ricorrenza è proprio la prima strofa del brano, che recita “I still remember third of december” (ricordo ancora il tre di dicembre). Una canzone che è rimasta nella mente di molti, soprattutto adolescenti, divenendo un fenomeno pop culturale e, in qualche modo, istituendo una nuova festa tra i seguaci del cantante.

Conan in questo pezzo racconta la sua sofferenza e il dolore che prova quando vede il suo amato con la ragazza di cui quest’ultimo è innamorato (Heather), cantando “I wish I wear Heather” (vorrei essere Heather). C’è probabilmente un motivo per il quale l’artista è riuscito a far immedesimare nelle sue parole un pubblico così ampio (oltre ovviamente ad un personale gusto musicale): sentirsi gelosi o invidiosi nei confronti di qualcuno, paragonarsi ad altri pensando che essi abbiano qualcosa in più di noi (Comparing oneself to others and estimating oneself in thomas aquinas’ moral philosophy), è un’esperienza molto comune, soprattutto in età adolescenziale. Prevalentemente in ambito romantico, ma non mancano le volte in cui ci si sofferma a guardare un amico, un parente o un conoscente pensando “vorrei essere come lui/lei” e subito dopo dubitare di noi stessi e sentire l’autostima vacillare. “I’m not even half as pretty” (non sono bello neanche la metà) canta infatti Conan Gray parlando di Heather.

Confrontarsi con le altre persone, guardare il mondo intorno a noi e valutare le abilità, le conoscenze e competenze altrui non è di per sé è un’abitudine negativa o da eliminare, il sociologo e psicologo statunitense Leon Festinger lo riportava nella sua “Teoria del confronto sociale” del 1954: può infatti portare giovamenti a noi stessi e alla società, spingendo ognuno di noi ad osservare oggettivamente quali siano sia i propri punti forti che le proprie carenze, per cercare di migliorarle.

Nella maggior parte dei casi si tratta tuttavia di paragoni per far crollare la considerazione che abbiamo di noi stessi. Questo perché molto spesso non si riesce ad essere oggettivi. Siamo, ad esempio, più abituati a perdonare un’altra persona quando sbaglia rispetto a perdonare noi stessi, mettendo a confronto con noi l’altro solo per le sue qualità positive e paragonando i lati della sua personalità, dei suoi atteggiamenti e del suo aspetto estetico con quelli di noi che non ci aggradano. La psicologa statunitense Kristin Neff ha elaborato nel 2009 uno studio proprio sull’autocompassione, intesa come accettazione e apertura verso la propria sofferenza e i propri errori, nel quale affronta il problema dell’auto-criticismo offrendo anche uno sguardo più ampio sul mondo occidentale e su quanto esso ci spinga al fare sempre di più e a raggiungere la perfezione, come se non si fosse mai abbastanza.

Potrebbe essere dunque una questione di età, un problema culturale, un atteggiamento sintomo di bassa autostima o un’abitudine che ormai è così intrinseca nelle nostre vite che ormai neanche ce ne si accorge più. Confrontarsi ossessivamente con le altre persone è, in primo luogo, dannoso per noi stessi e di conseguenza per le relazioni che intraprendiamo con gli altri: è lo stesso Conan che in un’intervista afferma di “odiare questa ragazza con tutto il suo cuore, pur essendo lei dolce, pura e perfino perfetta”. Dolce, puro e perfetto, proprio come è considerato lui dalle persone che lo ammirano. È infatti proprio nel momento in cui siamo troppo concentrati sugli altri che non riusciamo a vedere noi stessi.