Cannibalismo, tra rituali e crimine un ricorso ancestrale ai dettagli del male

Cannibalismo, tra rituali e crimine un ricorso ancestrale ai dettagli del male

Non sappiamo perché e quali processi della nostra mente sono intervenuti nel mentre, ma ci siamo interessati alla vicenda di Issei Sagawa, un signore giapponese che nel 1981 ha ucciso, per poi compiere atti di cannibalismo sul corpo, una sua compagna di università. E si, l’ha uccisa proprio per mangiarla. Ritorneremo sul caso tra poco, nel frattempo abbiamo voluto fare una panoramica sull’argomento: cos’è il cannibalismo?

Il cannibalismo, definito come l’atto di consumare carne della propria specie, è un fenomeno che ha affascinato e terrorizzato l’umanità per secoli. Sebbene il termine sia spesso associato agli esseri umani, in natura è presente in diverse specie animali, dove può avere ragioni evolutive, ecologiche o sociali: i leoni, per esempio, a volte uccidono e si cibano dei cuccioli dei propri rivali. Nei contesti umani, il cannibalismo assume connotazioni particolarmente complesse, intrecciandosi con questioni culturali, religiose, psicologiche e criminologiche.

Dal punto di vista psicologico, il cannibalismo è generalmente considerato un comportamento patologico. Studi psichiatrici hanno identificato varie motivazioni che possono spingere un individuo a compiere atti cannibalistici, tra cui disturbi della personalità, traumi infantili e problemi di controllo degli impulsi. Alcuni individui possono sviluppare una fascinazione ossessiva per il cannibalismo, collegata a sentimenti di potere, controllo e dominanza sull’altro. In casi estremi, il cannibalismo può essere visto come un atto di interiorizzazione e assimilazione della vittima, annullando completamente la separazione tra sé e l’altra persona.

Talvolta può essere associato a parafilie, disturbi caratterizzati da impulsi sessuali devianti. In particolare, l’antropofagia erotica è una parafilia in cui l’idea di mangiare o essere mangiati ha una componente sessuale. Questa può manifestarsi attraverso fantasie, giochi di ruolo o atti reali. La connessione tra cannibalismo e sessualità è stata esplorata in vari casi criminali, dove l’atto di cannibalismo era accompagnato o motivato da desideri sessuali devianti. Questo intreccio di sessualità e violenza riflette profonde disfunzioni psicologiche e spesso storie personali di abuso e trauma.

L’antropologia del cannibalismo rivela che questo comportamento, sebbene universalmente stigmatizzato, ha avuto significati differenti nelle varie culture. In alcune società tribali, il cannibalismo rituale era praticato per ragioni religiose o spirituali, come un modo per onorare i morti o assorbire le loro qualità. Altre culture lo usavano come forma di punizione o intimidazione. Gli antropologi hanno studiato casi di cannibalismo di sopravvivenza, come quelli verificatisi in situazioni di estrema carestia o isolamento.

Ecco alcuni esempi significativi:

  1. I Fore, una tribù delle montagne della Papua Nuova Guinea, sono forse uno degli esempi più noti di cannibalismo rituale. Fino agli anni ’50, i Fore praticavano il cannibalismo endocannibalistico, consumando i corpi dei propri morti come parte di rituali funebri. Credevano che mangiare i loro defunti aiutasse a liberare lo spirito del defunto e a garantire la continuità della vita nella comunità. Purtroppo, questa pratica portò alla diffusione del kuru, una malattia neurodegenerativa simile alla malattia della mucca pazza, che devastò la popolazione Fore;
  1. Gli Aztechi del Messico, una delle grandi civiltà mesoamericane, praticavano il cannibalismo rituale come parte delle loro cerimonie religiose. Credevano che il sacrificio umano e il consumo rituale della carne delle vittime offrissero nutrimento agli dèi, garantendo così la continuazione del mondo e dell’universo. Le vittime, spesso prigionieri di guerra, erano sacrificate in cima ai templi, e alcune parti del loro corpo erano consumate dai sacerdoti e dai nobili;
  1. Si crede che anche alcune tribù indigene del Brasile, come i Tupinambá, praticassero il cannibalismo rituale. I Tupinambá “credevano” che consumare i nemici catturati durante le battaglie trasferisse la forza e il coraggio del nemico al consumatore. Il cannibalismo rituale faceva parte di una complessa serie di cerimonie che includevano la cattura, la prigionia e infine il sacrificio della vittima;
  1. Anche i Maori della Nuova Zelanda praticavano il cannibalismo rituale. Durante le guerre tribali, i guerrieri Maori uccidevano e consumavano i loro nemici come atto di vendetta e per umiliare l’avversario. Questo tipo di cannibalismo era visto come un modo per assorbire il mana (forza spirituale) del nemico. Questi esempi dimostrano come il cannibalismo rituale fosse profondamente radicato nelle credenze spirituali, religiose e sociali di queste culture, giocando un ruolo significativo nella loro vita comunitaria e nelle loro pratiche rituali.

 

Nella mitologia e nella letteratura sono vari i racconti che esplorano il tema del cannibalismo, riflettendo su vari aspetti della natura umana e delle sue più oscure pulsioni. Due esempi famosi sono la leggenda di Crono (o Chronos) e Hannibal Lecter.

  • Crono che mangia i suoi figli è una delle storie più celebri della mitologia greca. Crono era uno dei Titani, figli di Urano e di Gea. Secondo una profezia, Crono sarebbe stato detronizzato da uno dei suoi figli, proprio come lui aveva fatto con suo padre Urano. Per evitare che ciò accadesse, Crono decise di mangiare ciascuno dei suoi figli non appena nascevano.
  • Hannibal Lecter è uno dei personaggi più iconici della narrativa moderna, noto per la sua intelligenza straordinaria, il suo comportamento raffinato e la sua natura di cannibale. Creato dallo scrittore Thomas Harris, Hannibal Lecter è un brillante psichiatra forense che, dietro la sua facciata sofisticata, è un assassino seriale e un cannibale.

Ma oltre la fantasia, nella storia recente vari casi di cannibalismo hanno scioccato il mondo, evidenziando le complesse motivazioni dietro tali atti:

– Jeffrey Dahmer: soprannominato il “Mostro di Milwaukee”, Dahmer uccise e cannibalizzò 17 giovani uomini tra il 1978 e il 1991. Le sue azioni erano motivate da un desiderio di possedere completamente le sue vittime;

– Armin Meiwes: conosciuto come il “Cannibale di Rotenburg”, Meiwes incontrò la sua vittima su un sito internet dedicato al cannibalismo consensuale. Dopo aver ottenuto il consenso della vittima, lo uccise e ne consumò parti del corpo.

 

Oltre a questi casi più noti, torniamo al caso precedentemente nominato di Issei Sagawa, cannibale che ha attirato l’attenzione mediatica soprattutto nel suo paese natio, il Giappone.

Issei Sagawa nacque il 26 aprile 1949 a Kōbe, in Giappone. Proveniva da una famiglia benestante, con un padre influente nel mondo degli affari. Nonostante avesse avuto un’infanzia relativamente normale, sviluppò fin da giovane fantasie sessuali devianti e cannibalistiche. Nel 1981, mentre studiava letteratura comparata all’Università Sorbona di Parigi, Sagawa invitò a casa sua una compagna di studi della Germania, Renée Hartevelt, con il pretesto di aiutarlo con una poesia in lingua tedesca. Una volta lì, la uccise con un colpo di pistola e iniziò a compiere atti di cannibalismo sul suo corpo. Successivamente passò due giorni a mangiare parti (alcune, non stiamo qui a specificare quali) del corpo di Hartevelt, scrivendo e disegnando dettagliatamente le sue azioni.

Sagawa fu arrestato dopo aver cercato di disfarsi dei resti del corpo della ragazza in un lago nel Bois de Boulogne, un parco di Parigi. Tuttavia, durante il processo, fu dichiarato malato di mente e quindi inadatto a sostenere un processo criminale. Fu internato in un istituto psichiatrico francese. Nel 1984, grazie all’influenza della sua famiglia e alla pressione mediatica, Sagawa fu deportato in Giappone. Le autorità giapponesi lo internarono in un ospedale psichiatrico. Tuttavia, poiché i documenti del caso francese erano sigillati e non disponibili alle autorità giapponesi, Sagawa fu rilasciato dopo 15 mesi, essendo dichiarato sano di mente dai medici giapponesi.

Dopo il suo rilascio, Issei Sagawa divenne una sorta di celebrità macabra in Giappone. Scrisse libri e articoli descrivendo dettagliatamente il suo crimine, apparve in documentari e talk show, e fu il protagonista di un film pornografico che ritraeva, storpiando la favola di cappuccetto rosso, le dinamiche dell’omicidio da lui compiuto. La sua vita post-crimine suscitò sia orrore che fascinazione, mettendo in luce le intricate dinamiche della società e dei media nell’affrontare individui responsabili di crimini così efferati.

Sagawa stesso ha spesso parlato delle sue motivazioni, ammettendo di aver compiuto l’omicidio per soddisfare le sue fantasie sessuali e cannibalistiche. Le sue dichiarazioni e i suoi scritti offrono un inquietante sguardo nella mente di un individuo con desideri devianti, evidenziando temi di potere, controllo e sessualità distorta.

Sopravvissuti a catastrofi reali:

Ci sono stati inoltre diversi casi storici in cui sopravvissuti a gravi incidenti navali o aerei sono ricorsi al cannibalismo per continuare a vivere, come il disastro dell’Uruguayan Air Force Flight 571 (1972): questo incidente è noto come il disastro delle Ande. Un aereo della forza aerea uruguaiana si schiantò sulle Ande, e i sopravvissuti, in condizioni estreme di freddo e fame, furono costretti a ricorrere al cannibalismo per sopravvivere. Questo evento è stato ampiamente documentato nel libro “Alive” e nell’omonimo film.

È qui che la concezione del cannibalismo cambia: in situazioni di estrema necessità, la mente umana può spingersi oltre i confini abituali, alterando la percezione del comportamento accettabile e razionalizzando azioni che, in circostanze normali, sarebbero inconcepibili. La cognizione umana, quando confrontata con la fame estrema e la minaccia imminente della morte, può sviluppare meccanismi di adattamento che distorcono le norme etiche e morali.

Certo è che, in ogni caso, c’è un elemento intrinseco di morbosità nella natura umana che ci spinge a voler conoscere i dettagli più oscuri e terribili. I crimini efferati rappresentano una violazione estrema delle norme sociali e morali, e questo suscita un misto di repulsione e attrazione.