Basaglia il dottore dei matti. La graphic novel che ricostruisce la sua vita

Basaglia il dottore dei matti. La graphic novel che ricostruisce la sua vita

Ma sapete chi era Franco Basaglia?

Un dottore cammina per le vie del manicomio di Gorizia, con delle idee diverse dai suoi colleghi: non vuole più trattare i pazienti con disagio psichico come erano stati trattati fino a quel momento ma in un modo diverso, più umano.

Basaglia il dottore dei matti di Andrea Laprovitera e Armando Miron Polacco è una graphic novel in cui è possibile seguirlo lungo 17 anni di attività e conoscere il suo pensiero.

Il fumetto biografico si apre nel 1961. Franco Basaglia arriva a Gorizia con sua moglie Franca Ongaro e i suoi figli Enrico e Alberta, per prendere servizio come Direttore del manicomio locale. La sua casa affaccia proprio sul manicomio affermando, ironicamente, che così sarà sempre concentrato sul lavoro. Basaglia il dottore dei matti, grazie all’efficace sceneggiatura di Andrea Laprovitera, si configura come un omaggio ma anche come un’opera divulgativa che coinvolge ed emoziona, dalla forte valenza didattica.

I disegni totalmente, realizzati in digitale, si differenziano all’interno del medesimo fumetto. Nelle scene di vita quotidiana e di condivisione familiare di Basaglia, ricordano l’acquerello. Sono infatti sfumati con una prevalenza della scala di grigi. Al contrario, nelle tavole ambientate nel manicomio, prima dei suoi successi metodologici, sono caratterizzati dal nero che prevarica sul bianco.

Il simbolismo è molto potente.

Non poteva, infatti, mancare un riferimento al celebre film Qualcuno volò sul nido del cuculo con J. Nicholson attore protagonista. Nel fumetto il cuculo compare in diversi significativi momenti. Accompagna con il suo volo Basaglia in tutte le città in cui va: all’inizio è appollaiato su un ramo secco per poi finire su un ramo germogliato, emblema di una nuova stagione di fruttuosi cambiamenti, di una vita degna di essere vissuta, lontano dalle sbarre e dall’oppressione.

Simbolo di questo sogno Marco Cavallo, una scultura azzurra di legno e cartapesta dalle dimensioni monumentali, circa 4m di altezza. Un novello cavallo di Troia che anziché penetrare in una città assediata, nel 1973 esce insieme ai malati del manicomio, invadendo festosamente le vie di Trieste.

Altra tavola, altro richiamo, a L’urlo di Edward Munch che viene preso per raffigurare lo stupore di un paziente quando viene a sapere che Marco Cavallo (tuttofare che portava fuori la roba da lavare) ormai troppo vecchio verrà destinato al macello.

Il libro finisce simbolicamente con Basaglia, che dopo l’approvazione della Legge 180, guarda il cielo e vedendo una nuvola a forma di cavallo afferma “Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno i manicomi. È importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente. Ora sappiamo che c’è un altro modo di affrontare la questione. Anche senza costrizione.”

Notevole è l’impegno di Armando Miron Polacco nel ricostruire luoghi e ambientazioni: le vedute delle città, i monumenti, le facciate e gli interni dei manicomi. Impossibile non sentirsi immersi negli anni sessanta e settanta. Anche la colonna sonora è coerente, si vede la radio che trasmette Nel blu dipinto di blu di Domenico Modugno. Alcune vignette raccontano i fatti che hanno segnato quell’epoca: lo sbarco sulla Luna e il golpe di Pinochet in Cile.

Nel libro sono riportate naturalmente alcune delle celebri  frasi di Basaglia come: “Visto da vicino nessuno è normale” in risposta alla moglie che gli dice che i giornali riportano che solo lui ha visto la normalità in Giordano Savarin, un paziente che in seguito alle dimissioni dall’ospedale ha compiuto un omicidio.

Oppure altra frase che colpisce è: “Noi abbiamo tolto le catene fisiche ma quelle della mente e del pregiudizio sono più difficili da eliminare” in risposta ad un paziente secondo il quale all’interno del manicomio non si è nessuno ma fuori si è ancora di meno.

Altra affermazione è: “Nei manicomi c’è una percentuale molto bassa di veri matti, il resto sono persone normali, che noi, e per noi intendo l’intera istituzione, ha reso e classificato come matti”, in risposta ad un collega che lo accusava di favorire la promiscuità, aprendo i reparti e rendendo la sala da pranzo e il soggiorno aree comuni, senza distinzione tra uomini e donne.

Infine quando esce dal Tribunale, dopo il Processo Savarin, conclusosi con la sua piena assoluzione perché il fatto non sussiste afferma: “La follia è l’espressione di una profonda sofferenza, forse la più terribile perché la più oscura nelle sue cause. Il solo modo di trattarla è di farla riconoscere come tale, sia al malato che al suo prossimo, in modo che ciascuna delle persone che entrano in contatto con lui se ne faccia carico per una parte, e lo aiuti a sopportarla.” E ancora: “Il malato non è solo malato, ma un uomo con tutte le sue necessità.

Di grande impatto sono i suoi metodi innovativi, come ad esempio quando riunisce in assemblea tutti i malati, o quando li porta in aereo a fare due giri sopra Venezia per fargliela osservare da una diversa prospettiva, o quando ordina di togliere le sbarre dalle finestre e i fili spinati dalle mura, o come dicevamo in precedenza, quando apre tutti i reparti e crea degli spazi comuni.