Le serie, i film true crime (la cronaca nera “raccontata” sotto forma di intrattenimento) così come i podcast, sono tra i contenuti più popolari negli ultimi decenni. Le piattaforme di streaming offrono una vasta gamma di titoli che spaziano dai classici noir a docuserie su crimini realmente accaduti: facciamo l’esempio di “Per Elisa” sul caso Elisa Claps, ma anche di “Monsters” che affronta la storia dei fratelli Menendez. Ma cosa spinge le persone ad essere attratte da storie di omicidi, processi e investigazioni? I motivi sono diversi, e spaziano dal bisogno di adrenalina alla curiosità psicologica, ma soprattutto a un desiderio di capire meglio la natura umana.
Le persone amano risolvere enigmi, e seguire un’indagine permette di sentirsi coinvolti nel processo, come se fossimo noi stessi quelli attivi nel cercare di scoprire la verità; d’altronde, l’incertezza sul colpevole o il desiderio di capire come si risolverà un caso sono propulsori potenti dell’interesse umano.
Inoltre, i contenuti crime, in particolare quelli che rappresentano eventi drammatici o violenti, innescano una forte risposta emotiva nello spettatore. Guardare queste storie può provocare un rilascio di adrenalina, simile a quello che si prova durante un film horror. Siamo attratti dal pericolo e dall’ignoto: in modo paradossale, ci piace sentirci spaventati o in tensione quando sappiamo di essere al sicuro sul nostro divano, e ciò ci dà un senso di controllo su queste emozioni.
Ma cos’è il male? È davvero presente dentro ognuno di noi?
Molte persone sono spesso affascinate dalla mente dei criminali. Perché commettere un crimine così terribile come un omicidio? Attraverso le serie true crime possiamo provare a capire le dinamiche mentali e sociali che portano alla devianza. Questa curiosità per l’”altro” è anche un modo per definire meglio noi stessi: esplorare il lato oscuro della mente umana ci fa riflettere su ciò che è giusto e sbagliato, e su quanto siano sottili i confini tra la normalità e l’anormalità, o meglio: su cosa è considerato normale e cosa non. Soprattutto, ci permettono di capire che non è sempre tutto o bianco o nero, anzi; per la maggior parte della nostra vita il colore nel quale nuotiamo è il grigio, con tutte le sue sfumature. Il true crime ci mette di fronte a eventi che sfidano la nostra comprensione della vita di tutti i giorni, ma allo stesso tempo ci ricordano che il male esiste e può colpire chiunque, in qualsiasi momento (Walters, 2021).
Guardare queste storie è come avventurarsi in una zona d’ombra della mente umana, dove possiamo affrontare questi temi senza conseguenze dirette. È un modo per confrontarci con la parte più oscura della vita, quella della morte, della violenza, della perdita di controllo, ma con la rassicurazione di poter sempre “uscire” da quella dimensione spegnendo lo schermo.
Nonostante il focus spesso sia sul criminale, un altro motivo per cui le persone sono attratte dai racconti crime è il desiderio di capire e immedesimarsi con le vittime e i loro familiari. Molte serie raccontano le storie dal punto di vista delle vittime o delle persone coinvolte, mostrando il loro dolore, la loro rabbia e il loro desiderio di giustizia. Secondo la psicologa Amanda Vicary dell’Università dell’Illinois (che citeremo ancora poco più avanti), questo porta gli spettatori a sentirsi più vicini alla storia, creando un legame empatico con chi ha sofferto. Guardare la risoluzione di un caso e vedere i colpevoli essere assicurati alla giustizia può dare un senso di sollievo e chiusura, quasi come se la vittoria del bene sul male fosse una forma di riscatto morale (Kurland, Johnson & Tilley, 2014). Ma quando questo non succede? Oppure, è addirittura possibile provare empatia nei confronti di un assassino?
La risposta è sì, soprattutto nel momento in cui il passato di quest’ultimo è traboccante di esperienze traumatiche e abusi. Ma anche qui tocca fare attenzione, perché il confine tra comprensione e giustificazione a volte può essere molto sottile. Si comprende il perché, ma non viene comunque giustificato.
Diverse ricerche hanno evidenziato che la predominanza del pubblico di questo genere è composta da donne (Vicary & Fraley, 2010).
L’interesse, o anche la maggiore presenza del genere femminile nel true crime, può derivare da fattori sia culturali che psicologici. Osservare gli eventi che ci circondano implica il provare a comprenderli. Inoltre, il modo in cui viene narrata la violenza può variare a seconda dell’osservatore. Le storie (si, anche quelle di true crime) ci offrono insegnamenti su come affrontare la vita e coesistere nel mondo; questa rappresenta una delle più importanti responsabilità per chi crea narrazioni. Attraverso il consumo di queste storie, le donne possono confrontarsi con la fragilità dell’esistenza femminile sentendosi profondamente coinvolte. Potremmo pensare di aver superato il genere slasher (violento, incentrato sulla figura di un assassino seriale), ma l’attrazione per la rappresentazione della violenza rimane. Le vittime del true crime sono, proprio come le babysitter nei film horror, destinate a un finale cruento. La differenza è che le seconde sono frutto di fantasia, mentre le prime sono reali. Le nostre esperienze si intrecciano con le vite e le morti di questi personaggi, trasformandoli in riflessi delle nostre ansie e vulnerabilità, cercando di capire e di dar loro voce tramite una propria narrazione. Seguendo questo pensiero, le donne sarebbero attratte dal desiderio di comprendere la violenza proprio perché questa esercita un forte impatto sulle loro vite.
Ma è solo questo il motivo? Il male ha il suo fascino, ma perché? Potrebbe essere l’attrazione di capire quel qualcosa che è talmente lontano da noi da volerne analizzare i meccanismi alla base. Perché ha fatto questo? Fino alla curiosità se nella sua vita deve essere successo qualcosa che l’ha portato a uccidere. Ci deve essere per forza un motivo per noi, è nella natura umana cercarlo. Ed ecco che allora si scoprono traumi e abusi infantili che, in un perverso effetto a cascata, portano l’assassino a cercare vendetta quando è più grande, in persone che sono più deboli di lui. Ma parlando di Serial Killer, si potrebbe aprire un mondo di discussioni. Lo faremo in un altro momento.
L’attrazione per le serie e i film crime è quindi complessa e multifattoriale. Essa combina il desiderio di vivere l’adrenalina della suspense, la curiosità per la mente criminale, la ricerca di giustizia e la voglia di esplorare il lato oscuro della natura umana. Questi contenuti non solo ci intrattengono, ma ci permettono di esplorare una gamma di emozioni e riflessioni che, altrimenti, non avremmo modo di vivere. E sebbene alcune persone possano trovare macabro l’interesse per questi racconti, per molte altre rappresenta un modo per confrontarsi con la realtà e le sue ombre, esplorando ciò che si cela al di là del presunto confine tra il bene e il male.