“Possibile che nessuno s’accorge che semo come ‘na piuma? Basta ‘no sputo de vento pe’ portacce via…”
Possibile che se ti dovessi chiedere cos’è un SPDC o un TSO non sapresti rispondermi?
Daniele riapre gli occhi e si ritrova in un luogo e in uno spazio emotivo in cui non si riconosce. Tutto intorno piomba improvvisamente nella sua realtà, tutto è ostile, non ne comprende il senso pensa solo ad uscire. Daniele si ritrova all’interno del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) senza sapere perché.
Daniele in un tempo e in uno spazio obbligati (7 giorni) ritrova la possibilità di riconnettersi con ciò che gli è accaduto e l’ha portato oltre i limiti.
Quel luogo, inizialmente così traumatico, perché irrompe quasi a sua insaputa, si rivela a poco, a poco, uno spazio rivelatore di sé, ma non sono di certo quelle pareti a parlare, né tantomeno quei divieti, sono le relazioni con le persone, i suoi compagni di avventura (Gianluca, Mario, Madonnina, Giorgio, Alessandro, Nina) i medici (Cimaroli e Mancino) e gli infermieri (Pino, Alessia, Rossana) che permettono di dare un senso diverso alle cose, ai propri agiti, alle proprie azioni e soprattutto alle conseguenze.
È una la parola che per Daniele diventa la chiave di tutto.
E deriva proprio dall’incontro con la sofferenza che riaccende qualcosa dentro, che si spezza quotidianamente proprio nel tentativo di evitarla, scinderla, negarla. E n quel preciso luogo, l’SPDC, la sofferenza è amplificata del 100% attraverso i corpi, i volti e i racconti di quei fantasmi che a poco a poco si fanno persone, e dentro questo tessuto emotivo è impossibile non scendere a patti con la propria sofferenza. Anche i cuscini, le tende, le pareti, ne sono intrise.
In quel contenitore forzato, Daniele scopre una delle sue “risorse contenitore”: il diario. La scrittura diventa un mezzo per tirare fuori emozioni che altrimenti fanno casino là fuori, nella sua vita, portando l’Io dove vogliono loro.
Serve un argine, un confine, dove tornare a respirare e non sopravvivere entro un’apnea costante.
Dall’edificio dell’ospedale, si vede spesso la luce di un faro. Ci piace pensare che, recuperato il timone e buttati i remi in mare, si possa continuare a navigare con in tasca, nella mente e nel cuore, un brandello di fiducia in più.
Daniele è me, te, lui, lei, Daniele siamo noi, quella sensibilità che se non ascoltata può accartocciarsi su se stessa e che invece può imparare a liberarsi persino grazie alla poesia.
La verità è che tutto chiede salvezza, ma qualche volta, dimentichiamo di salvare noi stessi.
Questa serie tv è un grido a ricordare che se ne può parlare, non emarginando ciò che non comprendiamo.
Ciò che chiede salvezza sussurra di essere incontrato con amore, disponibilità e pazienza, nell’intento di comprendere la complessità umana.
Al di là di ogni etichetta.
Tutto chiede salvezza è basato sul romanzo autobiografico di Daniele Mencarelli Premio Strega Giovani 2020. Rivedi l’intervista all’autore qui.