Secondo incontro con l’autore: salute mentale e carcere a cura di Alberto Sbardella

Secondo incontro con l’autore: salute mentale e carcere a cura di Alberto Sbardella

Per il ciclo Incontro con l’autore, nella splendida cornice di Villa Lais, ha avuto luogo il secondo appuntamento dedicato alla presentazione del libro Salute Mentale e Carcere.

Ospiti della giornata sono stati Alberto Sbardella, curatore del libro, Direttore UOC SMPPF del Polo Penitenziario di Rebibbia, Stefano Anastasia, Garante delle persone private della libertà della Regione Lazio, moderati da Gianluca Monacelli, Direttore UOC salute Mentale D4 e Massimo Cozza, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale Asl Roma 2 che ne ha curato la prefazione.

Quest’ultimo ha esordito con delle considerazioni fondamentali sulla relazione esistente tra salute mentale e carcere, sottolineando che si tratta di un tema ancora “nascosto sotto il tappeto” ma che, tuttavia, piano piano sta emergendo.

Si parla poco infatti di come si dovrebbe considerare la salute mentale in carcere. Non c’è confronto rispetto alle dettagliate norme che regolano ad esempio il funzionamento delle REMS.

Ci si augura che, in un prossimo futuro, ci sia sempre più sinergia tra operatori sanitari e gli agenti penitenziari. Questa è una delle priorità che hanno motivato l’autore a scrivere il libro.

Diversi gli argomenti trattati, tra cui il momento di uscita, così come quello di entrata nel carcere, che rappresentano fasi molto delicate. Allo scopo di preservare le necessità del detenuto è stato istituito il servizio “Nuovi Giunti”, che si è insediato nelle carceri ormai da diversi anni. L’autore sottolinea, inoltre, che ci sarebbe bisogno di un rafforzamento e di una maggior articolazione di tutti i servizi sanitari sul territorio che si occupano di benessere mentale al fine di tutelare e garantire il diritto alla salute del detenuto in senso olistico.

La pena detentiva, prosegue il dottor Anastasia, rappresenta per il detenuto una sospensione mortificante del corso naturale del proprio percorso di vita. Egli la definisce “una pena del tempo perso” da tutti i punti di vista; il codice penale in pratica dice che tu, individuo, deprivato dei diritti fondamentali della persona, perderai sostanzialmente il tempo che difficilmente potrai recuperare. Contro questa perdita progressiva del tempo vitale, la Costituzione ci dice che è importante acquisire competenze e capacità per poter uscire dal carcere migliorati e con qualche risorsa in più. Solo così, eventuali progetti riabilitativi individualizzati potrebbero offrire delle reali opportunità di autorealizzazione ai detenuti ed ex detenuti.

Non bisogna mai dimenticare che prima ancora di detenuti, si è persone.

Un altro importante ruolo lo svolge l’insegnamento accademico, dall’istruzione primaria fino a quella universitaria. Questo impegno conferisce all’esperienza detentiva, un po’ di leggerezza rendendo meno duro il percorso di vita al suo interno. Edoardo Albinati, all’interno del libro, ipotizza che l’insegnamento rappresenti una risorsa, un potenziale culturale che potrebbe aiutare a migliorare le condizioni di vita del detenuto dentro e fuori dal sistema penitenziario. Il diritto alla cultura e al libero pensiero sono un diritto inalienabile della persona che svolge non solo un’azione formativa ma anche terapeutica.

Lo scopo della rieducazione è quello di portare gli individui che hanno sbagliato al raggiungimento della responsabilità personale, soggettiva. È importante capire che il tema della responsabilità è precipuo non solo del singolo individuo ma anche dell’intera collettività.

L’evento è stato interessante e ha stimolato notevoli curiosità e ha aperto una riflessione sull’uso e abuso degli stupefacenti da parte dei carcerati prima di venire reclusi. L’abuso di sostanze fin dalla preadolescenza nella società attuale solleva preoccupazione che non va sottovalutata.

Un altro tema saliente a cui si è accennato nel corso del dibattito è quello della possibile prevenzione del crimine. È un argomento cruciale che non è stato approfondito e sviscerato sufficientemente perché trasversale ai temi del libro. Avrebbe richiesto altro tempo per discuterne.

La complessità dell’istituzione carceraria in sé è data anche da una scarsa corrispondenza delle pene ai reati commessi. Altra problematica è quella della percentuale, molto alta, più del 60%, di coloro che una volta usciti tornano a delinquere.

La scelta del titolo Salute mentale e carcere è stata finalizzata per mettere a confronto due mondi diversi, ma speculari allo stesso tempo: sono quelli dell’istituzione carceraria, con tutte le sue contraddizioni e quello dei Servizi Territoriali della ASL, che si dovrebbero occupare della salvaguardia della salute psichica dei detenuti.

Riflettendo in generale su quanto è stato detto, il disagio psicologico subisce un incremento in condizioni di estrema solitudine sia nelle persone detenute, che negli operatori. La percezione della solitudine cambia anche in condizioni di sovraffollamento provocando numerose malattie psicofisiche.

Parlare di salute mentale in carcere rappresenta una specie di ossimoro a priori. Non ci sono infatti le premesse esistenziali predittive in un non luogo come il carcere per cui si possa coniugare la salvaguardia della salute psichica all’interno di questa istituzione. Ciò detto rimane importante mantenere l’attenzione su temi così complessi e delicati per evitare che vengano dimenticati in quanto non visti.

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