Rubrica “CinemaMente”: Marilyn, tra cucina e follia

Rubrica “CinemaMente”: Marilyn, tra cucina e follia

Vi proponiamo un’analisi diversa dalla solita recensione cinematografica sull’ultimo film uscito sul tema della salute mentale. La pellicola in questione è “Marilyn ha gli occhi neri” di Simone Godano, uscita nelle sale a ottobre 2021.

Abbiamo infatti creato questa nuova rubrica, “CinemaMente”, per offrire un focus alternativo e più soggettivo, analizzando con l’occhio di chi ha avuto esperienza sulla propria pelle del disagio psichico, con uno sguardo più indagatore sulle problematiche inerenti la salute mentale.

L’opera ci offre, in una specie di overture rapsodico, uno spaccato di quella che possiamo definire follia. In alcune sezioni, infatti, troviamo una signora con la sindrome di Tourette oppure un signore convinto di parlare con un ambiente esterno immaginario situato in Papua Nuova Guinea.

Questi elementi sapientemente sfruttati dalla regia riescono persino a causare una vena d’ilarità in chi li osserva quando agiscono in sincrono in un ristorante fittizio. In questo caleidoscopio, si alternano commedia e tragedia nelle diverse sfaccettature, che traspaiono dai personaggi da un gruppo di ascolto del centro diurno alla loro estremizzazione.

Il film ha due sfaccettature in contrasto tra loro: una cruda, l’altra illusoria. Da un lato troviamo la rappresentazione della malattia psichica in tutta la sua drammaticità mentre dall’altra una lettura d’evasione dai problemi con grande facilità. La storia è ambientata in un centro diurno di Roma dove un tale di nome Diego, interpretato da Stefano Accorsi, in preda a tic, balbuzie ed accessi d’ira, frequenta un gruppo d’ascolto nel quale vi è anche Clara, interpretata da Miriam Leone, una giovane donna bugiarda di professione che ha dato fuoco alla casa.

Questo rappresenta la parte cruda in quanto qui emergono tutte le problematiche delle persone con il loro disagio. La parte illusoria invece è l’apertura di un ristorante da tutto esaurito con relativa storia d’amore tra Diego e Clara.

Film da questo punto di vista ambivalente. Notiamo infatti come la drammaticità delle situazioni sfoci in una sin troppo facile soluzione, come l’inizio di un’attività, e non dia la giusta rilevanza alle problematiche psichiche e relazionali. Questa scelta focalizza l’attenzione troppo sui personaggi principali tralasciando quelli secondari con i loro tratti distintivi e sfumature.

Si può pertanto dire che il centro diurno faccia da cornice alla love story del film e che, seppure a questa si riconosca il potere di guarire certe ferite, essa dona un risvolto un po’ artificioso al film, per il quale, alla fine, la pellicola non ruota più prettamente sulla salute mentale.

Questo film ad ogni modo, ha valore di documento presentando un certo realismo della follia. Personalmente lo consiglieremmo al pubblico, anche quello meno informato sul tema,  poiché la storia di riscatto che vi è contenuta, anche se un po’ troppo favolistica, tende a ricucire lo strappo tra coloro che sono gli utenti del centro diurno con il mondo esterno.

Questo fattore esogeno non riguarda solo i “sani” ma anche gli utenti stessi che riescono a fare un gruppo abbattendo le barriere tra loro.