Durante il periodo fascista le minoranze venivano allontanate dal contesto sociale in vari modi: c’è chi ha subito il confino, chi è stato torturato, chi rinchiuso nei campi di concentramento. Il primo caso ha riguardato esattamente gli “arrusi”, un gruppo di uomini omosessuali che, nel 1939, è stato confinato nell’Isola di San Domino e l’Isola di San Nicola (le Isole Tremiti, Puglia).
La mostra intitolata “l’Isola degli Arrusi” si è tenuta dal 28/1/2025 al 21/2/2025 alla Casa della Memoria e della Storia, nel cuore di Trastevere. È stata organizzata da Luana Rigolli, scrittrice e fotografa. con l’introduzione di Pietro Turano, attore e attivista, vicepresidente di Arcigay. Hanno altresì contribuito all’organizzazione anche Arcigay e Biblioteche di Roma.
La mostra era composta da ventotto fotografie tra documenti, oggetti usati per torturare i prigionieri e luoghi dove si ritrovavano con i loro amanti; tutto ciò è stato liberamente preso dal libro omonimo alla mostra.
Perché proprio il confino come strumento di emarginazione? È presto detto.
La tecnica del confino è stata utilizzata storicamente dai regimi nazifascisti come modus strumento per nascondere personaggi definiti scomodi tra cui oppositori politici ma anche omosessuali, minoranze etniche (come i Rom) e persone che non si adeguavano alle regole sociali imposte dal regime.
Il contesto geografico, invece, oltre alle Isole Tremiti era proprio quello di Catania, la città che ha confinato più omosessuali durante quel periodo storico.
Si è osservata comunque una differenza abbastanza importante tra la Germania e l’Italia, in particolare per i luoghi di aggregazione per gli uomini omosessuali: non è che non ci fossero anche donne attratte dallo stesso sesso, semplicemente gli uomini erano in maggioranza e i locali erano principalmente usati da loro.
Negli anni Trenta del Novecento a Berlino vi erano già questi luoghi di incontro, nonostante il famoso “paragrafo 175” contro le cosiddette pratiche contro natura: il più famoso è stato il locale “El Dorado”, attivo nella città tedesca dal 1919 al 1932. In Italia, invece, le persone attratte dallo stesso sesso si ritrovavano in determinati luoghi per avere rapporti intimi, come forma di conoscenza assoluta.
Il punto era questo: non si doveva parlare di omosessualità, se ne doveva nascondere l’esistenza. Si veniva segnalati da familiari e conoscenti, per poi subire spesso esami invasivi: da qui è arrivata anche l’origine sessista dell’omofobia perché, se fosse risultato che la persona avesse avuto un ruolo attivo nel rapporto, non sarebbe stato da confinare.
Andando avanti con gli anni, i prigionieri omosessuali dall’Isola di San Nicola di Tremiti sono stati trasferiti all’Isola di San Domino, poiché nella prima iniziarono ad essere confinati i politici da non avere in società. Gli omosessuali perdettero così anche i punti di riferimento che avevano, considerando anche come nemmeno le famiglie stesse li volessero e li emarginassero, come succedeva a tante altre minoranze a cui erano assimilati.
In una delle foto della mostra si parla di tale Vincenzo Carducci, il più civile tra gli abitanti dell’isola, tant’è che ha impiegato i prigionieri in varie attività riguardanti la fattoria e i terreni da lui posseduti.
Le lettere degli arrusi, riportate sotto forma di incipit e frasi brevi, sono molto commoventi specialmente negli stralci dove richiedevano la grazia al Duce per essere portati via dal luogo di confino.
A ogni prigioniero veniva data la cosiddetta Carta di Permanenza: in essa erano annotati i dettagli personali e delle loro giornate passate sull’isola, oltre alle regole da seguire. Questa Carta doveva essere portata sempre con sé.
Per quanto riguarda i verbali di polizia dei loro arresti, si può osservare la poca oggettività e la tanta cattiveria nella loro descrizione, fino all’umiliazione stessa. Gli arrusi, tra di loro, utilizzavano soprannomi femminili, richiamanti il loro mestiere.
Due sono stati i particolari luoghi di incontro per le persone omosessuali confinate: il primo era il porto, dove queste ultime intrattenevano rapporti fugaci con i marinai che sbarcavano lì. Il secondo era il cosiddetto Arvulu Rossu (“albero rosso” in siciliano), oggi in Piazza Borsellino, che era considerato il luogo di ritrovo dei giovani uomini omosessuali con non più di vent’anni.
Tuttavia, non tutti gli omosessuali vennero confinati nelle due isole. Molti vennero rinchiusi all’interno di cliniche psichiatriche per subire trattamenti con l’obiettivo di “curarli”, “farli tornare normali”. Pratiche violente per persone che venivano considerate colpevoli di un crimine contro natura, le quali dovevano essere segregate e divise dal resto della società.
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