L’altra faccia della medaglia: la capacità di intendere e di volere in un caso reale

L’altra faccia della medaglia: la capacità di intendere e di volere in un caso reale

La perizia psichiatrica depositata dal superperito Elvezio Pirfo ha stabilito che Alessia Pifferi, la donna di 38 anni accusata di omicidio volontario aggravato per aver lasciato morire di stenti nel luglio di due anni fa la figlia Diana di appena 18 mesi, era “perfettamente in grado di capire che l’abbandono di sua figlia in casa da sola per 6 giorni consecutivi, avrebbe potuto causare la morte della bambina, come poi avvenuto.”

Le conclusioni della perizia di quasi 130 pagine parlano chiaro: “Non essendo dimostrabile né una disabilità intellettiva, né un disturbo psichiatrico maggiore, né un grave disturbo di personalità, è possibile affermare che la donna al momento dei fatti per i quali è imputata era capace di intendere e di volere”. Secondo il perito, al momento dei fatti, “La Pifferi ha tutelato i suoi desideri rispetto ai doveri di accudimento materno verso la piccola Diana”. Quindi secondo la perizia la Pifferi è imputabile e punibile, ossia risponderà del reato di cui è accusata.

Con la nozione di imputabilità, accolta nel nostro ordinamento all’art. 85 del codice penale, si intende la concorrenza di entrambe la capacità di intendere (comprendere il significato delle proprie azioni) e la capacità di volere (controllo dei propri stimoli e impulsi), e indica la condizione sufficiente ad attribuire a un soggetto giuridico il fatto tipico e antigiuridico commesso e a mettere in conto le conseguenze giuridiche. Nessuno può essere imputabile se al momento del reato non era in grado di intendere o di volere, ma l’incapacità non esclude l’imputabilità quando è dovuta alla colpa del soggetto.

Va precisato che il concetto di capacità di intendere e di volere va inteso come necessariamente comprensivo di entrambe le capacità: l’imputabilità viene dunque meno allorché difetti anche una sola delle suddette attitudini.