La psichiatria del professor Pirella impegnata nella chiusura dei manicomi, una eredità per tutti noi

La psichiatria del professor Pirella impegnata nella chiusura dei manicomi, una eredità per tutti noi

Il professor Agostino Pirella è morto a Torino all’età di 86 anni. La comunicazione ufficiale della scomparsa dello psichiatra è stata data da Psichiatria Democratica di cui era presidente onorario. Il professor Pirella è stato amico di Franco Basaglia e ha lavorato con lui all’interno dell’ospedale psichiatrico di Gorizia (1965-1971). In seguito Pirella è stato direttore dell’ospedale psichiatrico di Arezzo dal 1971 al 1979. Egli ha promosso, in particolar modo, la chiusura del manicomio aretino. Pirella è stato, infine, docente di psichiatria presso l’Università di Torino e si è occupato anche dei servizi psichiatrici regionali del Piemonte con particolare riguardo per il manicomio di Collegno.

Nel 1979 Pirella ha lasciato l’incarico di direttore dell’ospedale psichiatrico di Arezzo a Vieri Marzi, che si è occupato della sua definitiva chiusura. Luigi Attenasio, fondatore del Centro Studi e Documentazione, è stato allievo e amico di Pirella ad Arezzo ed è proprio questa esperienza che lo ha guidato nella direzione del Dipartimento di Salute Mentale dell’ex ASL Roma C. In qualche modo, il Centro Studi e Documentazione, si fa carico di un’impalcatura importante di amicizia, competenza e collaborazione, che ha unito proprio  Agostino Pirella, Vieri Marzi e Luigi Attenasio.

Nel suo periodo goriziano Pirella collaborando con Basaglia ha contribuito ad una prima piccola rivoluzione poiché insieme promuovendo la chiusura del reparto cronici, l’infermeria e dando la possibilità ai degenti di uscire dai reparti e organizzando le assemblee generali gestite dai pazienti. Questi importanti cambiamenti sono stati strumenti preziosi che Pirella ha utilizzato anche nella sua esperienza aretina, modificando profondamente la struttura dell’ospedale psichiatrico. Con il suo lavoro Pirella ha restituito dignità al malato in quanto ha fatto sì che il malato uscisse dalla condizione manicomiale nella quale era posto e che gli operatori sanitari e i politici potessero dare un sostegno importante ai malati stessi per ricostruirsi una vita migliore attraverso progetti validi e concreti. Pirella ha offerto alle persone la possibilità di vivere autonomamente e di riscattarsi dalla propria malattia sia a livello sociale, sia a livello economico, per esempio andando a fare la spesa per conto proprio oppure potendosi permettere un nuovo paio di scarpe o un film al cinema. Questo senso di autonomia rimanda alle dimensioni di libertà e di forza dell’individuo ed accresce l’autostima e il senso della sfida con se stesso e ricreando un l’ambiente esterno più familiare.

Pirella è stato il primo a capire che importante per il malato era il suo recupero sociale attraverso la casa, il lavoro e la partecipazione attiva a programmi sociali riabilitativi e soprattutto riconsiderava l’uso e il rapporto con gli psicofarmaci, nel processo di cura, ritenendoli complementari e non prioritari nella cura stessa. I risultati che Pirella raggiunse con questa visione allora utopistica, dimostrarono che una buona integrazione sociale diminuiva il livello degli psicofarmaci fino a ridurli del tutto.

Oggigiorno l’insegnamento di Pirella è ancora attuale e la sua testimonianza è preziosa  in quanto è necessario ricordarsi che una terapia sociale deve essere strumento d’appoggio all’impiego degli psicofarmaci. Questo obiettivo viene raggiunto oggi grazie ai servizi territoriali che contribuiscono attivamente al recupero sociale del malato attraverso diversi tipi di attività, quali passeggiate in città per musei, mostre, oppure soggiorni più lunghi. Ciò rafforza il potere della relazione tra le persone ed accresce l’autonomia e l’autostima dei singoli. Ci auguriamo che la strada continui in questa direzione.

Articolo a cura di Pietro Di Mario; Remo Reboa