Dispersione dei giovani nel passaggio dai servizi dell’infanzia e adolescenza al DSM. Cosa fare?

Dispersione dei giovani nel passaggio dai servizi dell’infanzia e adolescenza al DSM. Cosa fare?

Uno studio europeo Milestone “Are you entering adulthood and soon too old for child healthcare? How can we help you with your transition into adult healthcare?” coordinato da Giovanni de Girolamo, psichiatra dell’Irccs Fatebenefratelli di Brescia, evidenzia un dato da non sottovalutare in termini di prevenzione e di continuità terapeutica in salute mentale.

Un solo paziente su nove tra i ragazzi di 17 anni in cura continua a essere seguito al Dipartimento di Salute Mentale.

Perché? Cosa accade in quello spazio così delicato di presa in carico dell’adolescente che sta per entrare nel mondo dei servizi per gli adulti? Perché si assiste a questa dispersione? Cosa favorisce questa interruzione delle cure?

Ciò che emerge in Italia, così come in altri paesi europei, è la mancanza di protocolli e di rete tra i servizi che accompagni letteralmente il giovane ventenne alla soglia del DSM. Intercettare e continuare a sostenere invece questi giovani con esperienza di disturbi psichici importanti, con pensieri suicidari, disturbo bipolare o di personalità, è di fondamentale importanza e non può essere sottovalutato, per non incrementare cronicità e gravità. E invece, purtroppo, si assiste ad un vuoto, in cui anche le famiglie restano sole ed in balia di se stesse.

Francesco Baglioni, direttore di Progetto Itaca dice «Nella maggior parte dei casi non hanno gli strumenti per prendere decisioni»; è vero, le famiglie restano così impantanate dentro un dolore personale e un’impotenza che aggrava la sofferenza.

Emerge un altro dato che evidenzia come paradossalmente, spesso siano anche le famiglie stesse in situazioni molto complesse a rifiutare le cure. Allora cosa fare? Come aiutare a combattere la dispersione dei giovani che si sganciano dai servizi territoriali di salute mentale? Una proposta alternativa è offerta dal Progetto Itaca, che promuove in tutta Italia (Milano, Bologna, Firenze, Genova, Lecce, Napoli, Palermo, Parma, Rimini, Roma e Torino) uno spazio di incontro con i giovani diverso. L’obiettivo è di tutelare il giovane garantendo strutture che puntino alla dimensione sociale per aiutare le famiglie ad alleggerire il carico emotivo.

Si configurano come spazi di incontro non sanitari, ma comunitari ispirati al principio di Franco Basaglia, le Club House, strutture diurne dove giovani tra i 20 e i 45 anni sono coinvolti in alcune attività, come il bar, il giardino, la cucina.

La verità è che il servizio territoriale non basta. Aldilà dei protocolli, aldilà del tracciamento. Certo molto ancora da fare e tutto si può migliorare, ma oltre al raccordo tra gli stessi servizi sanitari sarebbe auspicabile un coinvolgimento con associazioni, onlus e realtà alternative che ugualmente puntano a non lasciare da solo il giovane e la sua famiglia che vive un’esperienza di disagio mentale.

La rete è fondamentale, perché non c’è niente che spaventa di più del sapere di non sapere.

Per approfondimenti:

Ricucire la rete dei ragazzi interrotti