CoMeH (Covid and Mental Health) è uno studio promosso dall’Osservatorio epidemiologico nazionale per l’equità in salute dell’INMP (Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà).
Si tratta di uno studio longitudinale di popolazione multicentrico, che ha coinvolto la Regione Toscana, la ATS Bergamo e la ASL Roma 2. Le 3 aree geografiche rappresentano quasi 6 milioni di assistiti (circa il 10% dell’intera popolazione) del Servizio Sanitario Nazionale.
Sono stati molti gli studi dedicati agli effetti maturati nel corso del periodo Pandemico sulla salute mentale, in particolare per quanto riguarda i danni a carico della popolazione giovanile che è risultata una delle più vulnerabili in particolare alle restrizioni (chiusura delle scuole, dei luoghi di aggregazione, delle attività sportive e ricreative) che sono state imposte durante quella stagione. Di alcuni risultati abbiamo dato notizia anche in questo sito.
La caratteristica distintiva dello studio CoMeH è data dall’approfondimento degli effetti sulle ineguaglianze socio-economiche nei percorsi di cura della salute mentale.
L’ipotesi di partenza ha preso in considerazione quindi non solo le variabili istantanee (le chiusure degli spazi di socializzazione, le limitazioni agli spostamenti…) ma anche quelle di momento più prolungato quali la cessazione di attività economiche e la maggiore difficoltà per alcune fasce di popolazione nel trovare nuove occasioni di lavoro.
I risultati dello studio hanno mostrato una significativa diminuzione del 20% nel tasso di primo accesso ai servizi di salute mentale durante la pandemia COVID-19 rispetto al periodo pre-pandemico. Tutti i servizi di salute mentale considerati hanno avuto la stessa tendenza, in particolare: i ricoveri ospedalieri, il pronto soccorso e le strutture di cura residenziali e ambulatoriali. Inoltre è emerso che la pandemia ha amplificato le disuguaglianze socioeconomiche. Infatti, prima della pandemia il tasso di accesso ai servizi di salute mentale era più elevato nelle aree più deprivate, rispetto a quello delle aree ”più abbienti”; durante la pandemia la riduzione nell’accesso ai servizi è stata più rilevante per i residenti nelle aree più deprivate, laddove il bisogno di assistenza era più elevato. Anche tra gli immigrati provenienti da paesi da Paesi a forte pressione migratoria si è rilevata una forte riduzione dell’accesso, maggiore rispetto a quella osservata negli italiani.
È emerso, quindi, che la pandemia ha agito in modo differenziale tra le fasce sociali, determinando un maggiore deterioramento della salute mentale tra i gruppi di popolazione più vulnerabili e svantaggiate dal punto di vista socioeconomico. Tra questi, particolarmente colpiti sono stati gli immigrati, che costituiscono un gruppo a più alto rischio di disagio mentale, a causa delle loro condizioni di vita causate dai lunghi spostamenti, il sostegno sociale inferiore e l’isolamento maggiore, i problemi di accesso ai servizi sanitari, le barriere linguistiche, la sospensione del loro progetto di migrazione, paura per le famiglie nei paesi di origine e i problemi legati al permesso di soggiorno.
I risultati dell’indagine sono stati pubblicati su Springer Nature e su Frontiers.
Fonte dell’articolo: INMP
Sullo stesso tema vedi anche:
L’impatto della Pandemia Covid-19 sulla Salute Mentale degli Studenti negli Stati Uniti
Focus sui Servizi per la Salute Mentale dei giovani nel Lazio dopo l’emergenza pandemica