CinemaMente. Diario di una schizofrenica: una scrittura a quattro mani

CinemaMente. Diario di una schizofrenica: una scrittura a quattro mani

Per la rubrica CinemaMente, vi proponiamo la visione del film Diario di una Schizofrenica di Nelo Risi.

L’opera, ispirata all’omonimo romanzo, risulta essere – sia per la critica che per il pubblico più ampio – qualcosa di molto avanguardistico. Nel 1968, infatti, esistevano ancora i manicomi e le forme di contenzione erano ancora molto rigide e la schizofrenia, in particolare, era trattata con i farmaci e con l’elettroshock, oltre che con il ricorso alle camicie di forza. Si tratta pertanto di un film “pre-basagliano”, alludente a ciò che Franco Basaglia farà dieci anni dopo con la Legge 180/1978.

Seppure il film rappresenti un cult degli anni Sessanta, rivederlo oggi può essere da esempio per le presenti e future generazioni. Diario di una Schizofrenica si colloca in un percorso evolutivo potenzialmente infinito.

Anna è una ragazza di 17 anni che soffre di un disturbo schizofrenico; il film si apre con il focus della camera su Anna, che è ricoverata nell’ennesima clinica psichiatrica. Siamo ormai alla fine degli anni ’60 e sono circa 6 anni che la giovane protagonista soffre di schizofrenia, una malattia di cui la medicina conosce ancora molto poco.

La ragazza si ritrova tra due punti di vista, quello della madre, che si dimostra rassegnata e quello del padre, che invece desidera portarla in Svizzera, a Ginevra, con la speranza di poterla far curare da una psichiatra di fama internazionale, Bianca Blanche.

Attraverso tutto un percorso molto articolato di sedute psicoterapeutiche, dopo diciotto mesi, finalmente Anna sembra migliorare la propria situazione, acquisendo una certa indipendenza anche sul piano inter-relazionale.

Il percorso costruito, seppur breve, è denso di un impegno totale, sia da parte della terapeuta che da parte della paziente, che hanno gradualmente imparato a fidarsi l’una dell’altra.

L’inizio si prospettava a dir poco fallimentare, ma la forte tenacia di Blanche e la lenta apertura di Anna, hanno creato un canale di comunicazione che ha reso fertile la possibilità esistenziale.

I sintomi che la protagonista mostra, fin dai primi ricoveri, sono vari: rifiuto del dialogo e del contatto umano, oltre che dell’assunzione sistematica del cibo. Spesso fa dei soliloqui, parlando di temi apparentemente privi di logica.

Madame Blanche, dopo averla presa in cura, per portarla alla guarigione, propone di parlare alla paziente in terza persona attraverso l’utilizzo di oggetti intermediari, come un peluche ed un pupazzo, che richiama le fattezze di un bambino vero. L’obiettivo è quello di riscoprire la dimensione del corpo, di incrementare la percezione del corpo vissuto e l’ampiezza delle emozioni.

Una particolarità della storia clinica di questa ragazza è che sembra voler mangiare soltanto le mele verdi dell’albero. Simbolicamente potrebbe significare che il frutto acerbo rappresenti il latte materno e l’albero il seno, che è parte integrante del corpo materno. Dunque, una visione kleiniana.

Non ci si può ribellare al sistema, il sistema è ovunque, accusa di un delitto infinito!..

Con queste parole la protagonista ci vuole far capire quanto sia difficile per lei, vivere nel mondo esteriore secondo le regole del sistema vigente. Diventa interessante chiedersi cosa sia veramente la schizofrenia. Forse è un’opportunità. Come sostiene Madame Blanche, infatti, dagli schizo si ha molto da imparare.

Probabilmente ciò che succede ad Anna è che, soprattutto all’inizio, la sofferenza sia difficilmente discernibile, in quanto pensiero sistemico ed anti-sistemico sono fusi e si confondono. Il conflitto tra normalità e contro-normalità è tutto interno ma alla fine emerge, esplodendo.

Quale è l’eredità del film?

Sicuramente una maggiore consapevolezza della malattia in sé e dell’accettazione dei piccoli e grandi dubbi da cui siamo attanagliati ogni giorno della nostra esistenza.

Un altro concetto fondamentale che ci trasmette è l’importanza di affidarsi a qualcuno e sentirsi compresi, perché ciò può concorrere alla guarigione del soggetto.

Lascia inoltre un senso di innovazione sulle ipotesi di cura non farmacologiche, decisamente valido a livello odierno.

Interrogativi sulla schizofrenia collegati alla biodiversità, desiderio di indagare in profondità l’animo umano; non avere la pretesa di conoscerlo e di sistematizzarlo attraverso forme di terapia convenzionali e dogmatiche.

Non ci resta che augurarvi: buona visione!