Valore trasformativo della musicoterapia: la forza connettiva della musica nei contesti di cura

Valore trasformativo della musicoterapia: la forza connettiva della musica nei contesti di cura

Abbiamo il piacere di pubblicare un contributo mandatoci dalla Dott.ssa Mariantonietta Milelli, Dirigente Psicologo Psicoterapeuta della UOC Salute Mentale Penitenziaria e Psichiatria Forense dell’ASL ROMA 2 del Carcere di Rebibbia, in cui condivide le sue riflessioni e suggestioni emerse da una recensione partecipata dello spettacolo “Oltre il Muro: arte e musica per abbattere lo stigma”, portato in scena dagli operatori della UOC SMPPF e dagli ospiti del Polo Penitenziario di Rebibbia il 3 ottobre 2025, presso il Teatro del Nuovo Complesso di Rebibbia, in occasione del Festival della Salute Mentale RO.MENS 2025.

L’iniziativa rappresenta la prima esperienza di musicoterapia per gli operatori della UOC SMP e PF, progetto di non semplice realizzazione in quanto costantemente negoziato e rimodulato, teatro di accordi e disaccordi, e finalmente concretizzato attraverso una costante collaborazione tra equipe, pazienti ed istituzioni. Sullo sfondo due orchestre: la prima (fondamentalmente a cura delle Dott.sse Alessia Di Pucchio ed Annunziata Roncone) ha unito istituzioni e realtà diverse, accordando energie e visioni. La seconda, guidata dai musicoterapeuti (gli specialisti Fabio Buccioli e Federica Galletti) ha trasformato tutto in emozione viva, tessendo l’armonia nel qui ed ora, offrendo una sospensione dal luogo e dal tempo: storie in note. È emersa così la melodia dell’armonia dell’incontro, diventata figura, animata dalla partecipazione collettiva e dalla frase “mantra” intonata con il pubblico in un’unica, vibrante convergenza: “Where is my mind?

L’accordo invisibile nell’armonia dell’incontro: Where is my mind?

Quando uno spettacolo finisce, normalmente cala il sipario.
Ma oggi non credo che si possa parlare di fine.
Oggi, piuttosto, si apre qualcosa: uno spazio nuovo, uno sguardo diverso.
Come operatori, viviamo ogni giorno la complessità della salute mentale in carcere: il silenzio, la chiusura, il disagio che spesso non trova parole per dirsi.
Eppure, oggi, attraverso il teatro, quel silenzio ha preso forma.
Si è fatto voce, gesto, relazione.
Cesare Pavese scriveva: «La prigione è una scuola», ti insegna a stare solo con te stesso, a mantenere la tua presenza dentro varie e dense assenze.
Oggi, invece, abbiamo visto che la prigione può essere anche una scuola di incontro — dove la solitudine si trasforma in coralità, dove chi è stato abituato a stare solo scopre la possibilità di essere parte di un insieme.
Nello spettacolo di musicoterapia abbiamo assistito a qualcosa di più di una rappresentazione: abbiamo visto emergere un modo diverso di affrontare il disagio.
Non più come sfondo muto, ma come figura viva, condivisa, capace di parlare a tutti.
Come in un quadro gestaltico, ciò che di solito resta nascosto – il dolore, la fragilità, la fatica – oggi è diventato visibile, nitido, riconoscibile.
È diventato il centro.
Forse, nel nostro piccolo, abbiamo liberato emozioni, una corale evasione di suoni e voci
Ci siamo ritrovati a sospendere il respiro: ora per il silenzio assordante, ora grazie al tono acuto, e subito dopo perché il suono divenne tatto… e senti, vedi, tocchi il vuoto.
Eravamo tutti insieme ad apprendere una grande lezione, dedicata a chi della cura ha la sua scuola… Tutti discenti, che per due ore hanno avuto il privilegio di accogliere nuove vibrazioni ed altre sfumature. Ed è così che non ti accorgi di chiudere una prigione: almeno quella del tuo modo di vedere, sentire, credere…
…Vedi finalmente il muro del tuo sapere, e provi a portarlo più in là: s’illumina quel che bisogna lasciare andare, ciò serve per cambiare, senti che anche un suono sordo avrà un suo accordo….. per esistere insieme, nella stessa verità.
L’esperienza di ieri ci restituisce un dono prezioso: la possibilità di vedere diversamente.
Di riconoscere che la salute mentale non è solo una diagnosi o un servizio, ma un processo collettivo, una costruzione di senso che passa attraverso la relazione, la fiducia e la possibilità di esprimersi.
José Saramago, in Cecità, ci ricorda che «non siamo diventati ciechi, lo siamo… ciechi che, pur vedendo, non vedono.»
Ecco, oggi abbiamo visto.
Abbiamo visto la potenza di chi, anche nel limite, riesce a creare bellezza.
Abbiamo visto la dignità che si afferma attraverso la parola, il gesto, il respiro condiviso.
Abbiamo visto che può esserci altra cura, e che la cura, in fondo, è un atto di presenza e ascolto ed accordo.
Porto a casa la sensazione di aver partecipato a qualcosa di corale: un movimento che unisce operatori, detenuti, artisti, professionisti, cittadini.
Un’esperienza che ci ricorda che ogni persona, anche nella fragilità, ha un posto nel mondo e una voce che merita di essere ascoltata.
Oggi il disagio non è più solo uno sfondo silenzioso: è diventato figura, riconoscimento, possibilità.
E da questa figura possiamo ripartire, insieme, per continuare a cercare – dentro e fuori dal carcere – un modo più umano di prenderci cura, di comprendere e di stare. Finalmente uno spazio d’aria, speriamo non solo per ieri, ma ancora da ieri.

“Un affettuoso ringraziamento a chi ha nutrito questo lavoro, offrendo uno sguardo che sa attraversare le soglie: una supervisione preziosa, densa di sfumature e profondità”

Dott.ssa Mariantonietta Milelli – Dirigente Psicologo Psicoterapeuta della UOCSMPPF