Pink Floyd, il film dall’album The Wall: il muro che preclude la vita, la breccia per abbracciarla

Pink Floyd, il film dall’album The Wall: il muro che preclude la vita, la breccia per abbracciarla

“All in all it’s just another brick in the wall”

(Pink Floyd; Another Brick In The Wall, Pt.2)

 

È solo un altro mattone nel muro, quello che Pink costruisce sui suoi traumi. Ogni blocco corrisponde a un abbandono, una delusione o una sofferenza. Più il muro diventa alto e massiccio con le esperienze accumulate, più sembra impossibile abbatterlo. È la linea di confine tra ciò che Pink sente e vive, tra il suo mondo interiore e la vita reale.

La storia di Pink, personaggio ideato da Roger Waters (bassista e cantante dei Pink Floyd), è raccontata all’interno del concept album The Wall (Pink Floyd, 1979): un artista tormentato e sopraffatto dai ricordi negativi del suo passato. L’album ha ispirato ed è colonna sonora dell’omonimo film del 1982 diretto da Alan Parker, interpretato da Bob Geldof e sceneggiato dallo stesso Waters. Un lungometraggio sperimentale che intreccia riprese e animazioni.

Chiuso in una stanza d’albergo il protagonista rivive i suoi ricordi, immobile e con lo sguardo perso davanti a una televisione accesa. Nell’alternarsi tra il passato e il presente, le sue emozioni vengono rappresentate attraverso diverse tecniche: le scene lineari e nitide nei suoi ricordi da bambino diventano sempre più caotiche, frammentate e confuse, simbolo della schizofrenia del protagonista i cui sintomi si fanno sempre più incisivi con l’innalzarsi del muro.

Durante la sua infanzia Pink vive il dolore della morte del padre in guerra e subisce gli atteggiamenti contradditori della madre, fredda e allo stesso tempo estremamente protettiva. Inoltre, nella sua vecchia scuola, un insegnante sbeffeggia la sua sensibilità e lo accusa di essere una “femminuccia”. Da quest’esperienza imparerà che non può mostrarsi vulnerabile di fronte al mondo. Queste esperienze lo segnano a tal punto che non riesce a mantenere il rapporto con la moglie, è incapace di trovare una connessione con lei e si distacca sempre di più dalla vita reale. La scintilla finale del tradimento di lei lo farà spezzare.

“Hush now baby, baby, don’t you cry,
Mother’s gonna make all your nightmares come true.

Mama’ gonna keep baby cozy and warm.” 

(Piano ora piccolo, piccolo, non piangere
Mamma farà avverare tutti i tuoi incubi

Mamma manterrà il bambino al caldo e al sicuro)

(Mother, Pink Floyd)

Il mondo interiore di Pink sta crollando e il muro sta diventando sempre più alto. La ferita interiore e i sensi di colpa sono talmente opprimenti che Pink perde il controllo. Nel frattempo il mondo esterno si rende conto che il protagonista non sta bene, ma l’unico aiuto che gli dà è un’iniezione palliativa al fine di farlo salire sul palco davanti ai suoi fan. Il farmaco qui non è una cura ma un modo per arginare i suoi sintomi, senza l’intenzione di farlo stare veramente meglio. Così il protagonista si chiude talmente tanto in sé stesso da creare una maschera completamente diversa da chi è per omologarsi alla società.

 

“Pink isn’t too well he stayed back at the hotel”

(Pink non sta molto bene, è rimasto in albergo)

(In the Flesh, Pink Floyd)

 

Il muro tuttavia deve cadere, in un modo o nell’altro. Arriva a confrontarsi con la realtà, incontrando finalmente i personaggi che hanno segnato la sua vita. Questi intentano un processo contro di lui: è in realtà il suo senso di colpa, il sasso più grande che lo schiaccia, a far crollare i mattoni. Incontra l’insegnante, la madre e l’ex moglie. Una lo stringe come fosse un bambino, l’altra è raffigurata come una belva: in tutto il film il rapporto che Pink ha con l’altro sesso è rappresentato da iconografie violente e la donna è spesso vista come aggressiva e predatoria nei confronti dell’uomo.

Ritenuto colpevole di aver provato emozioni e di aver fatto soffrire le figure importanti della sua vita, riceve la sentenza più difficile e grave per lui: è condannato a esporsi. La sua paura più grande è sempre stata quella di mostrarsi vulnerabile agli occhi degli altri, tanto da impazzire pur di non farlo. Il muro viene abbattuto in maniera violenta, crolla sotto il peso dei traumi non elaborati di Pink. Quello che resta sono macerie che, raccolte da bambini, diventano simbolo di speranza e possibilità di rinascita.

Il film “The Wall” è sicuramente impegnativo, colmo di scene violente e di forte impatto emotivo, insieme a una trama non lineare e ricca di simboli e metafore. Vedere quest’opera stimola molte riflessioni sulla sofferenza e il modo in cui potrebbe essere (auto) distruttiva. Quel muro di cui parlano i Pink Floyd non ci è del tutto estraneo: lo innalziamo per salvaguardarci da un dolore che altrimenti sarebbe troppo da sopportare. Quand’è che i paletti che mettiamo servono effettivamente a proteggerci e quando stiamo solo costruendo una barriera che sarà molto più dolorosa da abbattere in futuro?