Letizia Battaglia: oltre al giornalismo antimafia, l’attenzione al disagio manicomiale

Letizia Battaglia: oltre al giornalismo antimafia, l’attenzione al disagio manicomiale

È terminata il 5 novembre 2023 la mostra che Roma ha voluto dedicare a Letizia Battaglia: fotografa, fotogiornalista e donna di grande impegno sociale, culturale e politico.

Già dal giorno della sua morte, nell’aprile del 2022, anche attraverso i canali social era stata richiesto con forza che il Comune di Roma si impegnasse a celebrare la vita e le opere della fotografa. Appello che è stato accolto nel migliore dei modi: dedicando a Battaglia la mostra Letizia Battaglia. Senza fine che ha avuto luogo per quasi 5 mesi, in una scenografia unica nel suo genere – l’area della Natatio all’interno delle Terme di Caracalla – e con un allestimento semplice ma raffinatissimo che richiama i cavaletes dell’architetto Lina Bo Bardi.

Molti conoscono l’impegno antimafia di Letizia Battaglia. Le foto di Falcone e Borsellino, le immagini di morti di mafia, i delicatissimi ritratti di Rosaria Costa, vedova di uno degli agenti di scorta di Giovanni Falcone: sono parte imprescindibile dell’immaginario pubblico dedicato alla criminalità siciliana.

Ma, già nella mostra, risaltano alcune immagini frutto della esplorazione che la fotografa dedico al Manicomio di Palermo.

Questo è un aspetto meno conosciuto della sua attività: meno fotogiornalistica nel senso pieno del termine, e più di reportage continuativo, fondato sulla attenzione che la Battaglia ha dedicato in tutta la sua vita ai temi della marginalità, dell’ingiustizia, degli ultimi.

Sono scatti in cui ogni possibile artificio fotografico lascia il passo alla crudezza del racconto; sotto il profilo tecnico solo l’accentuazione del contrasto rende le immagini più impressionanti, fissandole nell’occhio dell’osservatore, nella sua memoria, nella sua coscienza. Ma non c’è costruzione, non c’è “messa in posa”. Del resto Letizia Battaglia amava, in ogni occasione, entrare nella scena che stava riprendendo accostandosi ai soggetti a una distanza che lei misurava come quella che espone “a una carezza o a un cazzotto”. E la scelta del bianco e nero, nata alle origini come “necessità” tipografica, si mantiene costante nella sua capacità di sottrarre ogni possi ile elemento di disturbo rispetto alla centralità del soggetto, dell’evento da raccontare.

L’attività di reportage nel Manicomio di Palermo è documentata da una delle figlie della fotografa, Shoba. Potete vederne un saggio significativo nel sito di Shoba.

Per chi ha perso la mostra,  in rete segnaliamo due filmati dedicati alla esposizione alle Terme di Caracalla:

il primo è un breve video dedicato all’allestimento;

il secondo è un servizio della Rai sulla mostra.