Il coraggio riformatore: oltre la 180 di Ivan Cavicchi

Il coraggio riformatore: oltre la 180 di Ivan Cavicchi

 

L’idea di scrivere questo libro “Oltre la 180” (Castelvecchi Editore) nasce sostanzialmente da tre ragioni:

  • la prima è molto affettiva pagare il mio debito ideale nei confronti di Basaglia, cioè nei confronti di colui che mi ha insegnato cosa sia il “coraggio riformatore”, cioè il coraggio di mettersi contro il mondo per renderlo migliore
  • la seconda è la convinzione che la 180 nel 1978 ha iniziato un processo riformatore ma che non è terminato anzi è rimasto a metà  e che però bisognerebbe concludere
  • la terza ragione è molto pratica, la salute mentale se la passa male, è ripiegata su se stessa, e con l’aria che tira, la sua prospettiva rispetto ad altri settori della sanità a rischio a loro volta, è molto incerta

Il mio ragionamento parte da una semplice interrogativo: perché  la salute mentale è nelle condizioni in cui sta?

In fin dei conti la salute mentale è un settore che ha sempre avuto la politica a proprio favore in particolare quella di sinistra,(si pensi a Speranza)  ha avuto persino una proposta bis  di legge 180 (Dirindin),  un paio di progetti obiettivi, grandi conferenze nazionali, ecc.

Nello stesso tempo però è impressionante scoprire che, nella salute mentale, i soggetti più diversi dicono e chiedono sempre le stesse cose della istituzione (ministero della salute). In tutti i documenti scritti si dicono all’unanimità  sempre le stesse cose. Vi è tra salute mentale e istituzioni una sorta di “consociativismo” nel quale non si capisce se tutti sono d’accordo come mai le cose vanno tanto male.

L’istituzione pubblica è a favore della salute mentale ma questo a quanto sembra non cambia niente. Le cose nella salute mentale sono tali che è come se essa avesse una istituzione pubblica contraria.

Nel mio libro questo problema di ambiguità  l’ho definito del “pensiero unico”. Il pensiero è unico ma i soldi che danno alla salute mentale sono pochi.  Il che è vero, ma nessuno si chiede perché?

Perché? L’impressione, del tutto empirica, sia chiaro, è che la storia sia anche per la salute mentale sempre la stessa che è quella della “bella di Torriglia che tutti la vogliono ma nessuno se la piglia”

Perché alla fine la politica  amica se ne frega della salute mentale ? L’unica risposta logica che dato il mestiere che faccio, a me viene in mente è logica  e cioè che la bella di Torriglia, la nostra salute mentale, in realtà non è così bella come si dice, al contrario essa è piena di magagne e di difetti.

Giusto per ricordarne qualcuno:

  • la cura dei disturbi psichiatrici è ancora oggi esageratamente diversificata
  • i modelli organizzativi dei servizi, in barba alle evidenze scientifiche, alla fine finiscono per dipendere dai “gusti” dei singoli direttori di dipartimento
  • dopo quasi mezzo secolo dalla 180 ancora non sappiamo dare una definizione univoca di DSM
  • parliamo solo di strutture e mai di prassi mai di modalità di cura, mai di trattamenti
  • si ha l’impressione che nei DSM tutti fanno quello che pare a loro
  • Non parliamo mai delle scelte arbitrarie di certi psichiatri e di certi psicologi.
  • Non ci poniamo mai il problema di garantire il cittadino dai loro arbitri ideologici.
  • ancora oggi non siamo riusciti a risolvere i conflitti tra ideologia e scienza, abbiamo una formazione degli operatori del tutto asimmetrica alla pratica dei servizi
  • il rapporto tra pubblico e privato è molto squilibrato
  • il numero di posti letto in strutture residenziali è in continuo aumento
  • è in continua crescita la durata media dei ricoveri presso le strutture residenziali e crescono le attività di lungodegenza
  • abbiamo troppa disomogeneità organizzativa
  • l’insoddisfazione dei famigliari dei malati è alle stelle

Difronte a queste innegabili contraddizioni viene il sospetto che se il “potere negoziale” della salute mentale (quello decisivo per ricevere le risorse) è funzione della sua “credibilità sociale” allora non si può escludere la tesi che  la massa critica delle contraddizioni di cui soffre la salute mentale , alla fine  prima di tutto agli occhi della politica ne riduce la credibilità . E’ evidente che la sua scarsa attitudine a evolversi per adeguarsi ai bisogni della società che cambia non gli gioca a favore. La sua sterile apologia ne confronti dell’esistente a fronte di tante contraddizioni di certo non l’avvantaggia. La sua notevole burocratizzazione, il suo continuare a usare vecchi concetti (che vuol dire salute mentale?) la sua incapacità a organizzare i servizi a partire dalle prassi ma anche la sua incapacità a dedurre dalle prassi le modalità operative che servono ai malati. Ecc ecc.

Se definiamo il “valore percepito” della salute mentale come la valutazione complessiva di questa società e quindi di questa politica, rispetto alle utilità da essa prodotte è possibile ipotizzare che molti suoi problemi finanziari e organizzativi si spieghino con una bassa percezione da parte della politica del suo valore.

Se tutti ci vedono come degli “struscia bidoni” è difficile persino essere rispettati per quello che siamo, cioè è difficile essere riconosciuti come un valore.

Secondo questa ipotesi, se la salute mentale è poco finanziata è sicuramente perché esistono problemi di spesa pubblica ma anche perché il suo valore percepito non è così alto come si pensa, ma al contrario, per un sacco di ragioni spiegate nel mio libro, è piuttosto scarso. Se ciò fosse vero come io temo allora sarebbe bene per la salute mentale darsi una svegliata. Il problema è come non essere degli “struscia bidoni”.

Se siamo degli “struscia bidoni” allora vuol dire che la 180 non si è sviluppata come avrebbe dovuto ma si è fermata ad un certo punto dando luogo a quello che io chiamo una “sinfonia incompiuta”.

Se fosse vera questa tesi, allora anziché prenderci in giro con finte apologie della 180, a valori sia chiaro fondamentali invarianti (cioè a partire dalla 180 si deve andare avanti) bisogna porsi il problema di completare la sinfonia rimasta a metà.

Oltre la 180 non significa cancellare la 180 il contrario significa ripartire da essa e sviluppare in avanti il discorso riformatore interrotto.

Per avere   più soldi bisogna essere più credibili sapendo che per essere più credibili dobbiamo  eliminare un sacco di cose.

Prima si tratta di avere noi una idea altra di salute mentale poi  di convincere la politica a investire su di essa  cioè su una idea nuova di salute mentale e entrare in un nuovo ordine logico: in cambio delle risorse di cui ho bisogno io offro un nuovo valore aggiunto utile all’economia e utile alla società e ai cittadini.

Ma per fare questo è indispensabile fare quello che non abbiamo mai fatto, cioè partire dalle contraddizioni senza negarle, ammetterle  ed  emanciparci dall’apologia.

In sintesi a fronte di una “prospettiva” di decadenza della salute mentale pubblica la mia proposta è costruire una “contro prospettiva” che si opponga al declino.

Ma se non riapriamo seriamente la discussione sul dopo 180, oltre la 180 temo che la costruzione di una contro prospettiva sia impossibile.