“Si torna a pensare senza più remore a internare. È quanto più urgente organizzarsi per tornare a liberare”. Sono le parole dello psichiatra ed ex direttore del DSM di Trieste Giuseppe Dell’Acqua. Termina così la sua introduzione, scritta in occasione della ristampa del libro “Tu interni… io libero”, avvenuta nel gennaio del 2024 (la prima pubblicazione risale al 1977): una collezione di immagini scattate da Gian Butturini (1935 – 2006), fotoreporter e artista poliedrico, raccolte e divulgate da lui stesso e dallo psichiatra Franco Basaglia, con il fine di raccontare le prime trasformazioni della rivoluzione sociale e psichiatrica portata avanti da quest’ultimo.
Fotografie che differiscono molto da quelle contenute in “Morire di Classe”, il libro fotografico di Gianni Berengo Gardin e Carla Cerati, ove il soggetto principale erano le condizioni manicomiali e l’obiettivo quello di mostrare, attraverso un crudo racconto di ciò che realmente avveniva, la vita dei malati psichiatrici all’interno di quei luoghi inumani.
“Così dalle immagini di questo libro si possono forse cogliere i segni dell’intervento liberatorio… della speranza e della certezza che solamente con la lotta di tutti si può portare avanti lo sforzo prodotto dall’equipe di Trieste in questi anni”: così Gian Butturini descrive il suo lavoro, affermando di voler riproporre gli avvenimenti di Trieste non per una celebrazione fine a sé stessa ma come “strumento di dibattito su quanto rimane ancora da fare”. Sono dunque immagini tanto reali e incisive quanto portatrici di serenità e di un profondo senso di libertà. Vengono ritratte persone che ridono e che danzano, giornate in un mercato di Belluno o al centro di Trieste, scritte liberatorie e disegni sui muri degli ospedali. Il difficile compito affidato nel 1977 (poco prima della Legge 180), da Basaglia a Butturini, era dunque non quello di denunciare le crudeltà subita dai pazienti all’interno dei manicomi, bensì quello di osservare con occhi diversi i primi momenti di felicità, donati a persone la cui vita fino ad allora era stata messa in pausa.
(Foto dal libro “Tu interni… Io libero”)
Estremamente sensibile, informato e consapevole sull’importanza della sua testimonianza fotografica, Butturini vuole inserire nel libro storie di malati emarginati e incompresi: viene così raccontata da Giuseppe Dell’Acqua la storia di Salvatore Marigliano, un uomo che non acconsentì in silenzio ma reagì, per alcuni forse eccessivamente, nel momento in cui gli ordinarono di abbandonare la sua abitazione. Per questo fu internato a Trieste: i medici vedevano la sua agitazione psicomotoria senza accorgersi della persona e della sua storia. Il fotoreporter include inoltre le vicende di Brunetta, una ragazza di 26 anni che anni prima fu sottoposta a lobotomia, e di Regina, una donna di 34 anni le cui fotografie la ritraggono mentre parla con dei bambini (la sua è una storia di incomprensioni familiari e di un parto difficile che “ha provocato la scintilla che ha fatto esplodere il suo equilibrio”).
(Foto dal libro “Tu interni… Io libero”)
Nel libro sono riportate anche conversazioni avvenute tra Gian Butturini con i protagonisti di questa Rivoluzione. Ci sono ad esempio le testimonianze dei dialoghi con lo stesso Giuseppe Dell’Acqua, con Giovanna del Giudice, dottoressa del centro di Aurisina, o anche con Francesco Sustersich, ospite del centro di igiene mentale di Aurisina. Di seguito le parole di quest’ultimo: “Quando mi videro investito dalla crisi… si creò una separazione grandissima fra me e il paese; crisi che nessuno voleva capire… Così io non sono riuscito a riemergere dalla profondità… Sono rimasto emarginato.”
In occasione del centenario della nascita di Basaglia, fino al 20 marzo 2024 alla Camera del lavoro di Milano è stata esposta la mostra “Tu interni…Io libero” (con le fotografie prese dall’omonimo libro), curata da Gigliola Foschi, giornalista, critica d’arte e di fotografia e docente all’istituto italiano di Fotografia di Milano. “Oggi ricordare Basaglia significa risollevare la questione della “follia” per non dimenticarla, per far sì che le idee di questo grande psichiatra si trasformino in un maggior impegno a costruire una rete efficiente di servizi di salute mentale” è ciò che afferma la curatrice nell’intervista posta dal giornale della Cgil “Collettiva”.
“Dobbiamo batterci per una nuova società. Sarà questo un modo per aiutare gli emarginati a rientrare nella vita, una vita nuova e più giusta dove sia per sempre dimenticata la frase: pericoloso a sé e agli altri e di pubblico scandalo”. Con queste parole Butturini denuncia una realtà che influenza ancora oggi i nostri vissuti, invitando a non dimenticare le lotte che ci sono state, per farle nostre e continuare a batterci per i diritti e la libertà di ciascuno.