Copperman, film uscito qualche anno fa, nel 2019, vede protagonista assoluto Luca Argentero nei panni di Anselmo e insieme di Copperman, supereroe dall’armatura di rame. Un lungometraggio dove le persone “strane” che frequentano il centro diurno, sono più di una, dissociate psicologicamente, ma dotate di “super poteri”. La fantasia e la dura realtà si confondono, assorbendo quei labili confini che delimitano il vero dalla finzione, il giorno dalla notte.
Il film, ambientato in un piccolo paesino sperduto dell’Italia, ripercorre la storia di un bambino, Anselmo. Autore e, nel contempo spettatore delle proprie avventure, questi viene lasciato solo con la madre, e abbandonato dal padre. Un giorno gli viene diagnosticato l’autismo. La madre, sempre molto affettuosa con il figlio, gli racconta che il padre li ha lasciati per una vita da supereroe, con la missione di salvare il mondo, andando in giro, lontano, a cancellare le ingiustizie e i soprusi che affliggono la quotidianità e l’esistenza delle persone buone. È così che anche Anselmo, persuaso che questa storia sia vera, un giorno, da grande, decide di calarsi nel personaggio di Copperman. Tuttavia, quando la madre lo scopre, lo redarguisce confessandogli la verità sul padre, rimproverandogli che, andare in giro tutte le notti, alla ricerca di qualcuno da salvare, può essere molto pericoloso per la sua incolumità.
Il profilo psicologico di Anselmo è stravagante, esuberante ma mai manieristico. L’autistico è un po’ come lo schizo, rompe gli argini del buon senso comune, dell’universale discorso stabilito, come direbbe Marcuse. Il suo ES è indecifrabile.
Lo stile cinematografico di quest’opera è ben curato, assomiglia, negli scenari, e nella scelta delle colonne sonore, a molti di quei film americani d’azione dotati di effetti speciali. Potrebbe ricordare per certi versi il film “Lo chiamavano Jeeg robot”. Sembra quasi sfociare nelle dinamiche di un fantasy.
L’autismo, come tema affrontato, in realtà fa da sfondo a tutta l’evoluzione della storia. Risulta ideologico solo a tratti quando viene deprecato dai così detti “cattivi”.
Sarebbe meglio dire che ci sono tracce di autismo disseminate nel film, tra cui la passione del protagonista per i numeri, per la matematica e la sua attitudine per la musica. Non ultima, una spiccata sensibilità, e la sua dedizione infantile per i supereroi. Filo conduttore del film è, in realtà, il sentimento dell’amore. Prima l’amore per la madre, successivamente per Titti, una bambina conosciuta nei cortili della scuola. Si tratta, comunque, di prospettive d’amore destinate a durare per tutta la vita.
Anselmo, pur essendo, a modo suo, un genio incompreso, un” fissato”, è e rimarrà, anche una volta cresciuto, un bambino discreto, gentile, educato. Un bambino speciale, forse un po’ autistico negli atteggiamenti, e per la nosografia psichiatrica, ma dotato di una fervida immaginazione. Saranno le premure dell’amore, pure in un contesto di solitudine e di penuria emotiva e stigma, a farlo sentire sempre e comunque un eterno fanciullino pascoliano.