Il 28 giugno 2012 l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), approvando la normativa 65/309, sponsorizzata dal Bhutan (che già dagli anni ’70 misurava la qualità di vita nel paese con la Felicità Interna Lorda, o FIL) nel 2011, istituì la Giornata Internazionale della Felicità, con ricorrenza il 20 marzo di ogni anno e a livello mondiale. Un momento per riflettere sull’importanza della felicità nella vita di ognuno, non solo a livello individuale, ma soprattutto con lo scopo di riconoscere universalmente l’importanza del benessere dei cittadini e per fare in modo che questo diventi obiettivo dell’azione politica dei governi e dei funzionari politici.
È del 2012 anche il primo World Happiness Report, il più importante resoconto mondiale riguardo al benessere dei cittadini di oltre 140 paesi. Una classifica che vede la Finlandia al primo posto, seguita da Danimarca e Islanda, mentre l’Italia occupa la quarantesima posizione, avanzando di un posto rispetto all’ultimo anno. Ogni anno il report propone una tematica, un focus su cui porre l’attenzione, come i social media, il progresso o la differenza intergenerazionale: quest’anno si evidenzia l’importanza di condividere e di preoccuparsi per la gioia degli altri.
Un tema che si coniuga bene con lo studio pubblicato recentemente da Newsweek a livello globale: secondo la rivista statunitense sempre più persone provano molto frequentemente un senso di solitudine e infelicità. Lo studio ha, in realtà, fatto luce su ciò che moltissime persone già percepivano da tempo. L’essere umano, ad oggi, vive in una società individualista, nella quale gli interessi collettivi vengono a meno. Si pensa al proprio benessere, senza pensare che esso possa derivare da quello della società. Si tende sempre più ad essere spaventati dall’altro, piuttosto che tendergli la mano, una preoccupante epidemia di odio e intolleranza verso ciò che riteniamo diverso. Si è andato a perdere il sentimento di comunità che è alla base delle relazioni umane, portando le persone, per l’appunto, a sentirsi sempre più sole.
Quante volte i social, i giornali e la televisione promuovono stili di vita sani, la self care, per stare meglio e per vivere una vita serena. L’importanza di prendersi cura di sé stessi è innegabile, si sta tuttavia trasformando in un modo per evadere dalla routine, dallo stress e da quel senso di oppressione che sempre più persone condividono. È possibile che il vero benessere sia quello promosso mediante la Giornata Internazionale della Felicità: quello collettivo e politicamente riconosciuto.
Non si tratta di benessere quando si parla di istruzione o di sanità pubbliche? Avere accesso a luoghi di cura e posti in cui imparare non dovrebbe diventare un’ulteriore preoccupazione economica. O anche, manifestare, dire la propria opinione e sentirsi liberi di esprimersi e di essere come si vuole. Non è anche questa felicità? Sapere di poter avere un futuro e non domandarsi quale e dove sarà la prossima guerra, non è forse un motivo per stare bene?
L’importanza di questa giornata è probabilmente quella di capire come coltivare questo benessere, fuori e dentro di noi, comprendere che abbiamo il diritto di essere felici, o almeno sereni, e che non bisogna mai smettere di lottare per questo.