Alice in Wonderland: lo strano viaggio per ritrovare se stessa lontano dal mondo reale

Alice in Wonderland: lo strano viaggio per ritrovare se stessa lontano dal mondo reale

“Che differenza c’è tra un corvo ed una scrivania?”

La domanda senza risposta (o forse sì, perché entrambi hanno le penne) che il Cappellaio Matto spesso pone ad Alice nel film Alice in Wonderland (Tim Burton, 2010).

Da qui in poi Spoiler Alert!

La storia è ambientata anni dopo il cartone della Disney del 1951. Alice ormai ha 19 anni e, da quando è bambina, lo stesso sogno la tormenta ogni notte: creature strane, personaggi bizzarri (come un cappellaio) o animali che parlano, insomma, un luogo “buffo, buffissimo”. Poco dopo aver perso il padre, partecipa ad una festa che è stata organizzata, a sua insaputa, in onore del suo fidanzamento, ed è proprio lì, scappando da un destino che qualcuno aveva deciso per lei, che si accorgerà di uno strano coniglio con un orologio da taschino e lo seguirà fino alla sua tana, la porta per il Paese delle Meraviglie.

Un film incentrato sul no sense, sull’impossibile che diventa possibile e su un mondo che sembra l’opposto di quello in cui la ragazza vive ogni giorno, quello reale. Le ambientazioni, i colori, le animazioni: tutto rimanda a una situazione onirica e surreale, tanto che, sia la favola di Lewis Carrol che il film stesso, vengono assiduamente interpretati come una metafora per l’utilizzo di sostanze.

La storia si articola sulle avventure di Alice che, continuando quasi fino all’ultimo a credere di essere in un sogno, è stata riportata in quel mondo con un obiettivo ben preciso, quello di uccidere il Ciciarampa nel Giorno Gioiglorioso, sconfiggendo così la Regina di Cuori (che prese la corona terrorizzando gli abitanti e circondandosi di adulatori falsi) e aiutando la Regina Bianca a salvare il suo regno. Il viaggio eroico in questo paese fantastico coincide con il viaggio di crescita personale che Alice compie su sé stessa, ritrovando la sua moltezza (“Prima eri molto più…moltosa. Hai perso la tua moltezza…” le dice dopo il primo incontro il Cappellaio Matto).

 

“È da quando sono caduta in quella tana di coniglio che mi dicono cosa devo fare e chi devo essere. Mi hanno accorciata, allungata, ingrassata e perfino messa in una teiera. Sono stata accusata di essere Alice e di non essere Alice. Ma questo è il mio sogno! E ora decido io quello che succede.”

 

Un percorso di autoconsapevolezza durante il quale impara a riprendere in mano la sua vita, a liberarsi dall’idea che gli altri si sono fatti di lei. Ogni personaggio che incontra nel corso del tempo trascorso in quei luoghi nebbiosi e confusi rappresenta una parte di lei, un po’ di quella società che si è lasciata alle spalle cadendo nella tana del Bianconiglio: ci sono Pinco Panco e Panco Pinco, che all’inizio del film ritroviamo nelle due gemelle tediose e ficcanaso che rivelano ad Alice del suo fidanzamento; c’è poi il Brucaliffo, la coscienza della protagonista: “sei quasi affatto Alice”, afferma dopo aver chiesto alla ragazza chi sei, e si trasforma in farfalla proprio quando lei riesce a rispondere a quella domanda e a prendere le redini del suo destino, indipendentemente da cosa si aspettano le altre persone da lei; il Cappellaio Matto un po’ ricorda il padre della protagonista, le dice “È impossibile, solo se pensi che lo sia!”, è bizzarro, con idee geniali ma anche folli e soprattutto crede in lei e nelle sue capacità; la Regina di Cuori (Iracebeth), sembra proprio la madre del promesso sposo di Alice e simboleggia tutto ciò da cui lei sta scappando, come il conformarsi agli altri, la negatività e razionalità estrema del mondo adulto e il fingere di essere felice in una vita che non le appartiene.

Questo personaggio, diversamente da quello omonimo del cartone animato, ha una psicologia complessa: la Regina Bianca, (Mirana) e Iracebeth sono sorelle, quest’ultima ha sofferto molto durante la sua infanzia per le attenzioni che i genitori non le davano. Tutti preferivano Mirana, lei sapeva far sentire ognuno importante: “Non si vive accontentando gli altri” dice la Regina Bianca ad Alice. L’unico modo rimasto all’antagonista era prendere il potere con la forza, con la violenza, realizzando che forse era meglio che gli altri la temessero, piuttosto che amassero. “Lo so cosa hai intenzione di fare, tu pensi che sbattendo quelle ciglia, io mi scioglierò come facevano mamma e papà!” così si lamenta Iracebeth con la sorella, prima del duello finale.

 

“Io ucciderò il Ciciarampa”

 

Finalmente arriva il Giorno Gioiglorioso e Alice decide di combattere per salvare gli abitanti del Paese delle Meraviglie. Stavolta non si tratta di un’imposizione esterna, è la stessa protagonista che ha scelto di intraprendere una strada disegnata da lei stessa e che, dopo il suo percorso di crescita personale, non vuole più sfuggire alle sue responsabilità.

Mentre è sul campo di battaglia, ormai consapevole che quel mondo è parte della realtà e che tutti quei sogni ricorrenti erano ricordi di quel meraviglioso luogo, si fa coraggio ripetendosi sei cose impossibili, come alcune volte fa prima di fare colazione: tutte queste situazioni (come i gatti che evaporano, torte e pozioni che fanno crescere o diventare piccoli, lo stesso paese delle meraviglie) Alice, in realtà, le ha già vissute, poiché quando si crede di poter fare qualcosa, si è già un passo avanti.

“Eh sì, sembra che sei proprio matta, fusa. Ma ti rivelo un segreto: i migliori sono matti!”

Le parole del padre di Alice, che le rivolge da bambina. Le stesse parole che la protagonista rivolge al Cappellaio Matto. Sono come un filo conduttore di questa storia: il confine labilissimo tra normalità e pazzia, molto spesso è impercettibile, anzi, costruito a pennello da chi, un qualche giorno, decise che ogni cosa o persona debba rientrare in un qualche schema preesistente. “Se si stabilisse che è appropriato indossare un merluzzo sulla testa tu lo indosseresti? Per me un corsetto è come un merluzzo!” dice Alice alla madre proprio all’inizio del film. Ciò che molti ritengono normale, spesso non lo è, e non sempre la strada che ci è stata assegnata coincide con quella giusta per noi. Perché è proprio quello che afferma il Cappellaio Matto a riportarci con i piedi per terra:

“La gente vede la follia nella mia colorata vivacità e non riesce a vedere la pazzia nella loro noiosa normalità!”