Un viaggio psicologico tra le otto Montagne, il racconto di un’amicizia lunga una vita

Un viaggio psicologico tra le otto Montagne, il racconto di un’amicizia lunga una vita

Recensire un film come Le otto montagne rappresenta un’ impresa.

Scritto e diretto da Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, David di Donatello come Miglior Regia 2023, il lungometraggio, opera dai toni classici quanto contemporanei, dura più di due ore e mezza e registra uno spaccato di vita di montagna, descrivendola nei dettagli come una vicenda trasformativa dell’essere umano.

La storia è ambientata sulle Alpi piemontesi, non lontano dal capoluogo torinese, e segue il filo di un excursus storico che va dalla metà degli anni ’80 del secolo scorso fino ad arrivare al 2000. Si racconta di Pietro e Bruno, del loro percorso psicologico, delle vicissitudini familiari e della loro lunga amicizia.

I tempi cinematografici sono abbastanza dilatati, sembrano a volte fermarsi e non finire mai, come se non si prospettasse una vera e propria conclusione alla trama.

La montagna è in fondo il cronotopo di tutta la storia, fatta eccezione per alcuni momenti dove si intravede la Torino dell’epoca.

L’immersione in una natura impervia e la decisione di viverla e abbracciarla senza limiti, con il comune obiettivo dei due protagonisti di abitarla, costruendo una casa con legno e mattoni, materiale offerto dall’ambiente, sembra superare qualsiasi avversità, tra cui il clima rigido degli inverni che passano, sempre uguali e differenti allo stesso tempo.

La gioia di vivere che la natura selvaggia regala è impareggiabile, divinamente unica e riscalda gli animi.

È il sogno che, piano piano, diventa realtà. Pietro è fin dall’inizio anima fragile, subalterna: incarna il personaggio sensibile che non è in grado di realizzare i sogni che il padre riversa su di lui. Bruno, invece, personifica il ragazzo forte, lungimirante, che non fallisce quasi mai con le sue performance da scalatore. A fare da sfondo c’è sempre la montagna, come luogo da sfidare e contesto in cui dimostrare agli altri, al padre, alla natura stessa, chi è il vincitore, chi ha le carte in regola per potercela fare nella vita. Tuttavia sarà verso la fine, nel rigoglio dell’età adulta, che i ruoli di Pietro e Bruno si scambieranno, secondo un processo complementare ed evolutivo, creando nello spettatore un velo di confusione e sorpresa.

Un film dall’esito inaspettato, che presenta capovolgimenti pregni di significato proprio verso l’articolazione conclusiva del viaggio. La montagna occidentale e quella orientale del Nepal si uniscono, ad un certo punto, come fossero due punti di vista filosofici sul mondo. Tutto il film si rivela come escatologia sulla vita, sulla morte, sugli ostacoli che in essa ci sono da superare. Il paesaggio selvaggio, dunque, come eremo al confine tra Oriente e Occidente, al limite di un pensiero magico, monista oltre che manicheista. Queste due dimensioni sembrano convergere facendo emergere tracciati e profili psicologici di chi ha bisogno della precipua solitudine che solo la montagna può dare, per restituire ad essa, con sentimento di gratitudine, ciò che gli è stato donato ma trasformato.

La montagna, con le sue peculiarità, è vista con occhi diversi, attraverso il susseguirsi delle stagioni. La casa costruita rappresenta il risultato di anni di fatica e sacrificio, di impegno, il coronamento di un profondo desiderio interiore, il frutto di una lunga amicizia che, nonostante periodi di distanza e allontanamento, pare essere destinata a durare per tutta la vita. La casa come simbolo dunque di amicizia, ma anche di anelito all’eternità, ben rappresentato dal paesaggio con le sue altissime vette.

Il cuore di questa montagna, descritta nel film, è pericolosa, ma a tratti dolce è, come direbbero i romantici, “Sturm and drang”. Una tempesta e assalto che alla fine travolge e scuote i protagonisti. E così, rivela il carattere della natura che promette, e illude l’essere umano ma alla fine, senza pianificazioni, lo ingloba, lo logora, assorbendolo nel suo manto di neve.

È come un abbraccio della dimenticanza.