I giovani sono ancora così attratti dalla violenza, come negli anni passati? Non esattamente.
Secondo uno studio del centro di ricerca dell’Università Cattolica Transcrime, i reati giovanili sono in diminuzione ma sono più violenti, oltre che commessi da ragazzi sempre più piccoli: il confronto è stato fatto tra i bienni 2015-2016 e 2022-2023.
Secondo il report, sono aumentate le lesioni personali e le rapine, mentre scippi e spaccio sono minori in percentuale. Ci si sente sempre più insicuri in città, specialmente in quelle grandi, e tutto si basa su questo cambiamento qualitativo, non quantitativo. Oltre a ciò, l’età media del primo reato è calata: si è passati da 16,1 a 15,6 anni.
A dispetto di ciò, non si evidenzierebbe la condizione socio-economica come causa dei molteplici reati. Secondo lo studio nel biennio 2022-2023, il 72% dei ragazzi non risulta essere in condizioni di disagio economico. La causa di tutta questa violenza nei reati, piuttosto, va ricercata nell’immaturità relazionale ed emotiva delle nuove generazioni.
La violenza si pone così come espressione del disagio personale: l’immaturità porterebbe a manifestare disturbi della condotta e comportamenti antisociali. Un altro problema importante sembrerebbe l’uso regolare di sostanze e la dipendenza da esse, passata dal 42% del biennio 2015-2016, al 62% del 2022-2023.
Anche il contesto familiare in cui si cresce si rivela fondamentale. Al momento della presa in carico, il 71% dei giovani vive con un solo genitore: inoltre, nei casi in cui solamente la madre o la compagna del padre siano lavoratrici, l’età del primo reato scende a 15,2 anni.
Discorso a parte meritano le cosiddette baby gang, gruppi pericolosi e violenti che sono segnalati come “il problema dell’Italia”. Come afferma Susanna Marietti sul Fatto Quotidiano, coordinatrice di Antigone, tutto ciò è compiuto per far aumentare nelle persone la paura, che sia quella di uscire la sera o di non dormire tranquilli. È frequente l’additare certe categorie di persone (come i tossicodipendenti) come pericolose, solo per far aumentare lo stigma e la percezione di “sbagliato” nei loro confronti. La soluzione per “liberarsi” di loro pare essere soltanto il carcere su carcere, l’aumento delle pene, il cosiddetto “pugno di ferro” e il principio di tolleranza zero.
In effetti si preferisce promettere più reclusione per i minorenni piuttosto che agire sulla prevenzione e il sostegno; eppure i numeri, a differenza di anni, parlano chiaro.
I media non aiutano, contribuendo anche loro alla costruzione di allarmismi senza fondamento. Nel 2017 sono stati identificati nella stampa italiana 612 articoli che parlano di gang giovanili, mentre nei soli quattro mesi iniziali del 2022 essi sono stati 1.909.
Secondo il dossier del Ministero dell’Interno sugli omicidi volontari, l’Italia è uno dei Paesi più sicuri che esistano: fa comodo però non dirlo, altrimenti perché concentrarsi tanto sulla reclusione promessa?
La realtà è però tutt’altra. Nelle prigioni minorili vi sono ragazzi fragili e deboli, che avrebbero bisogno di sostegno piuttosto che di punizioni ed abbandono, comprendendo anche il loro passato.
Bisognerebbe concentrarsi su quest’ultimo fatto, invece che sul “male” riversato su questi ragazzi, che non meritano le conseguenze di una “scelta” molte volte sofferta.
Per approfondimenti sul nostro sito:
Criminalità giovanile, la forma di devianza che cerca l’identità e corrode la collettività
Il XX Rapporto di Antigone sulla detenzione minorile. Uno sguardo alle statistiche