FAQ

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Introduzione FAQ

Questa sezione è utile per orientarsi sulla prevenzione, cura e riabilitazione del disagio/sofferenza psichica di una persona.
È un elenco delle domande più frequenti che rispondono ai dubbi ricorrenti sulle modalità di accesso ai servizi territoriali, sul funzionamento e sui rapporti con i servizi stessi, sulle risorse presenti nel proprio territorio di competenza, su come saperne di più sul trattamento terapeutico riabilitativo.

HO BISOGNO DI CAPIRE SE VI È UN DISAGIO O UNA SOFFERENZA PSICHICA

Contatta anzitutto il medico di famiglia e mettilo al corrente delle condizioni del familiare o della persona a te vicina. Egli dopo aver verificato la situazione potrà inviare la persona sofferente al Centro di Salute Mentale (servizio che in qualche regione ha una denominazione diversa, vedi FAQ 18) o, nel dubbio, consulterà prima gli operatori di questo servizio.

Puoi comunque accedere direttamente al Centro di Salute Mentale anche senza prescrizione del medico di famiglia.

Vai alla sezione del Portale denominato “mappa” e clicca sulla regione di residenza per trovare il Dipartimento di Salute Mentale della tua area (o provincia) e il telefono. Chiama e chiedi il telefono del CSM del tuo territorio.

L’esordio della malattia può avvenire anche in età minorile. Tra i segnali indicativi dell’affiorare di un disturbo psichico vi può essere un blocco del funzionamento nella vita quotidiana, come ad esempio, difficoltà scolastiche non presenti prima, rifiuto di uscire o di vedere gli amici, un cambiamento del carattere o nel comportamento, l’impossibilità di continuare un’attività senza apparenti motivi. Se noti segnali come questi in un minore o adolescente con meno di 18 anni ne puoi parlare con il pediatra o con il medico di famiglia.

Per eventuali approfondimenti ti puoi rivolgere a: il Servizio Materno Infantile, il Consultorio Familiare, la Neuropsichiatria Infantile o il Servizio di Tutela della Salute Mentale e Riabilitazione dell’Età Evolutiva (TSMREE). Fatti consigliare dal medico di famiglia o pediatra che lo segue. Chiedi una valutazione del problema.

Se vi è un servizio o sportello dedicato ad adolescenti e giovani, prendi contatto per presentare il problema e avere un consiglio su come affrontarlo. Per trovare il servizio per minori di 18 anni più vicino puoi rivolgerti anche al Dipartimento di Salute Mentale, che puoi individuare tramite la “mappa” del portale.

In caso di disturbi psichici persistenti in età adolescenziale o giovanile è opportuno favorire l’intervento del Servizio competente (vedi FAQ 3) per una valutazione. Un intervento precoce è più incisivo e può rappresentare un fattore importante per l’evoluzione positiva del caso.

Chiama il Centro di Salute Mentale (CSM) della zona per riferire della situazione. Nel caso in cui non riesci a contattare il CSM – che può intervenire direttamente, se il paziente è già conosciuto chiama il “118” oppure, nelle Regioni ove attivo, il numero unico di emergenza “112”. Il servizio di emergenza, attivo nelle 24 ore, valuterà se è necessario un ricovero urgente che può diventare obbligatorio (vedi FAQ 22) se la persona che sta male non dà il proprio consenso alle cure e rifiuta ogni tipo di trattamento.

Nel caso di una crisi evidente della persona sofferente chiunque, parente, conoscente o vicino testimone di tale crisi o che avverte una situazione di emergenza può chiamare il “118” che potrà intervenire con un’ambulanza, il cui personale sarà in grado di valutare se è necessario o meno un ricovero nel servizio ospedaliero (SPDC, vedi FAQ 20).

Evita anzitutto di lasciarti prendere da una eccessiva preoccupazione o di entrare nel panico, non ti fare ostacolare dalla vergogna. Qualunque situazione di sofferenza psichica è affrontabile dai servizi pubblici specializzati che possono intervenire con tempestività e competenza. Non pensare di affrontare il problema da solo/a o rivolgendoti alla rete informale di amici, parenti e conoscenti, anche se sembrano poter offrire un consiglio autorevole, né facendo ricorso a Internet.

Il servizio pubblico (Centro di Salute Mentale) dispone di più specialisti, luoghi terapeutici e prestazioni per ogni fase del malessere.

Il disagio psichico o mentale è una esperienza di sofferenza in cui una persona può incorrere in un momento particolare della sua vita, a seguito di un trauma o di un evento stressante o in un passaggio evolutivo o critico dell’esistenza (ad esempio, dalla giovinezza all’età adulta, al confine con l’età senile e al pensionamento, alla gravidanza e periodo post-parto). Tale disagio si può esprimere con manifestazioni di ansia, grande tristezza, tensione, aggressività, insonnia. E’ una condizione che può essere temporanea e risolversi anche autonomamente oppure diventare persistente e invalidante (disturbo psichico).

Il disturbo psichico è una condizione in cui la sofferenza è molto intensa e prolungata e si accompagna ad alterazioni mentali o del comportamento, insieme a sintomi come fobie, attacchi di panico, deliri, allucinazioni, ossessioni. I sintomi sono modi con cui la persona cerca di difendersi, sia pure in modo incongruo, da una sofferenza profonda. Il disturbo può perdurare nel tempo.

I passaggi dal benessere psichico al disagio mentale, fino al disturbo e alla sua stabilizzazione, sono passaggi sfumati e graduali, spesso reversibili.

I fattori che favoriscono la salute mentale (protettivi) e quelli che la mettono a rischio sono molteplici: sociali (reddito, lavoro, istruzione, abitazione), psicologici (caratteristiche di personalità), biologici (organici), ecologici (contesto e sistema di relazioni), sanitari (poca informazione, prevenzione o risposte inadeguate da parte dei servizi sanitari). Più fattori di rischio o protettivi intervengono più alte sono le probabilità di acquisire il disturbo o di evitarlo.

Lo stigma nasce da un pregiudizio, è causato da paura e da una scarsa conoscenza di cosa è la sofferenza psichica e di come si genera, e suscita vergogna nella persona con un disturbo che tende ad autoisolarsi così come la sua famiglia. La persona con un disturbo psichico grave è considerata pericolosa – ma i dati statistici smentiscono e ribaltano il luogo comune del “matto violento” – incomprensibile (“dicono cose estranee e senza senso”) ma il più delle volte non si fa alcun tentativo di comprenderne i pensieri e le emozioni – e inguaribile. Si corre così il rischio di emarginarle o di abbandonarle invece che recuperarle ad una vita sociale compatibile con il loro disturbo. Non c’è alcuna base scientifica che giustifichi l’idea che i disturbi siano in quanto tali irreversibili, mentre è dimostrato che la mente umana ha una natura “plastica”, è capace di riattivare funzioni perse e di riattivarne di nuove. In ogni caso i disturbi psichici sono curabili, e si può arrivare anche alla guarigione, e alla possibilità di una vita di relazione di relazione e sociale dignitosa, con il rispetto dei diritti di cittadinanza, pur coesistendo alcuni sintomi.

HO BISOGNO DI SAPERE A CHI RIVOLGERMI PER AFFRONTARE IL DISAGIO/SOFFERENZA PSICHICA DI UNA PERSONA

Il riferimento è sempre il Centro di Salute Mentale (CSM) territorialmente più vicino (Vedi FAQ 2) a cui ti presenti per illustrare il caso o, possibilmente, con la persona che sta male per una prima valutazione da parte del personale sanitario. Se il tuo problema o della persona che accompagni, alla prima valutazione dello psichiatra appare grave, complesso e richiede un intervento urgente il Servizio dopo una prima diagnosi avvia la presa in carico per il trattamento. Se invece, ad un primo esame, il problema non è ritenuto di entità grave ti verrà dato un appuntamento entro qualche settimana per la valutazione diagnostica e stabilire l’eventuale presa in carico. In alcune Regioni o in alcune Aziende Sanitarie Locali il primo accesso e valutazione spettano ad altri servizi del territorio, come quelli delle Cure Primarie del Distretto (collocati, ad esempio, nella Casa della Salute) dove sono presenti uno psichiatra e uno psicologo. In ogni caso dopo la valutazione la persona o viene inviata al CSM o ad altro servizio del territorio oppure affidata al Medico di Famiglia (Medico di Medicina Generale).

Contatta il Centro di Salute Mentale (CSM), anche senza il consenso e/o la presenza della persona, per illustrare il caso e chiedere consiglio. Se è opportuno lo psichiatra del CSM può attivare l’Accertamento Sanitario Obbligatorio (ASO) anche a domicilio del soggetto. Serve in questo caso l’autorizzazione del Sindaco e la presenza dei vigili urbani con cui programmare la visita (con la possibilità di più accessi nel caso di assenza della persona da visitare).

Puoi provare a contattare l’Associazione dei familiari più vicina per capire se può in qualche modo esserti d’aiuto. E’ possibile che un familiare o un “utente esperto” (vedi FAQ 41) sia in grado di dare un aiuto, agganciare la persona che sta male e possibilmente avvicinarla volontariamente al Servizio. Anche un volontariato attento e preparato in rapporto sia con la famiglia che con il CSM, è una risorsa importante in questo tipo di intervento.

Ti puoi rivolgere ad una Associazione di familiari o di utenti (se sei utente di un servizio) fin dall’inizio del tuo problema perché essa svolge una funzione informativa e può orientarti nel rapporto con i servizi. Vi sono associazioni che offrono anche servizi o attività per gli utenti (laboratori, accompagnamento, sostegno al lavoro, all’abitare supportato…). Inoltre con alcune Associazioni hai la possibilità di partecipare ad un gruppo di Auto Mutuo Aiuto (AMA, vedi FAQ 29) costituito da familiari che si incontrano periodicamente per scambiarsi informazioni, esperienze, consigli e sostenersi l’un l’altro. Ti potrai sentire più sollevato/a e capace di affrontare l’assistenza della persona sofferente, soprattutto se sei il familiare più coinvolto (il cosiddetto caregiver).

Vi sono anche delle Organizzazioni di Volontariato (vedi FAQ 31) che possono aiutare la famiglia e la persona con un disturbo attraverso interventi gratuiti di vario tipo: dall’accompagnamento al sostegno morale o domiciliare, all’animazione in centri diurni o strutture esterne.

Nel Portale vi è un elenco di diverse Associazioni che è possibile contattare (vedi FAQ 30).

La famiglia è il soggetto che vive direttamente il problema della persona con un disturbo. Questa, non di rado, è il componente della famiglia più vulnerabile rispetto alle difficoltà nei rapporti affettivi che investono tutti i membri della famiglia.

Rispetto alla complessità dei bisogni di una persona con disturbi psichici gravi, la famiglia è la risorsa fondamentale della sua assistenza, spesso con grandi disagi per tutti i suoi membri che vanno incontro a sacrifici, rinunce, tensioni interne e problemi aggiunti sul piano del lavoro, economici e spesso di rapporto con il vicinato e/o con la propria cerchia parentale. Essi vivono con grande preoccupazione le situazioni di crisi acuta del congiunto con il disturbo, con conseguenze in termini comportamentali, talvolta i frequenti rifiuti rispetto alle cure o al trattamento terapeutico-riabilitativo dei servizi.

La famiglia ha bisogno di attenzione, formazione, supporto e sollievo nel suo compito assistenziale per poter essere sempre utilmente di aiuto nei confronti del congiunto e collaborativa con i servizi. La famiglia, se adeguatamente in/formata e sostenuta dai Servizi, può diventare una risorsa preziosa per la migliore riuscita di tutto il percorso di cura.

IL RAPPORTO CON IL CENTRO DI SALUTE MENTALE (CSM)

Rivolgiti al responsabile del CSM e puoi anche presentare un reclamo scritto all’URP aziendale. Inoltre poi chiedere un consiglio alle Associazioni di familiari del territorio (vedi FAQ 30).

È bene che la famiglia sia coinvolta, e comunque nel rispetto della privacy, informata e resa partecipe di momenti formativi perché possa essere in sintonia con il servizio instaurandosi una vera e propria “alleanza terapeutica” (vedi FAQ 35). Inoltre essa può essere sostenuta con tutti gli “strumenti” possibili, quali ad esempio: la partecipazione ai gruppi multifamiliari (vedi FAQ 27), ai gruppi di soli familiari o di Auto Mutuo Aiuto (vedi FAQ 28), oppure con un sostegno psicologico al singolo familiare caregiver. Si ritiene che nella maggior parte dei casi il coinvolgimento della famiglia costituisca un momento terapeutico strategico. Una famiglia coinvolta e sostenuta è più responsabile e più capace di comprendere la sofferenza del proprio congiunto, di assecondarne le cure, di affrontare eventuali momenti di criticità e di interagire utilmente con il servizio con esiti migliori in termini di efficacia del trattamento. Tra gli ambiti di attività previsti nei Livelli Essenziali di Assistenza (vedi FAQ 33) vi sono anche “i colloqui di orientamento e sostegno alla famiglia”.

Essa può rivolgersi al responsabile del CSM tenendo comunque presente il rispetto delle vigenti normative sulla privacy al quale sono tenuti gli operatori.

L’utente ha il diritto di ricevere tutte le informazioni cliniche che lo riguardano. Avute le preventive e corrette informazioni l’utente potrà esprimere il proprio consenso (cosiddetto “consenso informato”) sugli interventi predisposti e in relazione alle sue richieste. Queste informazioni potranno essere comunicate ad altri, solo previa sua autorizzazione. Al cittadini/utente è garantito il rispetto della privacy.

HO BISOGNO DI CONOSCERE QUALI SONO I SERVIZI DI SALUTE MENTALE, COME FUNZIONANO E DI QUALI RISORSE AGGIUNTE DISPONGONO

Il DSM è la struttura integrata dei servizi pubblici di salute mentale del territorio dell’Azienda Sanitaria Locale. Con un’unica direzione il DSM coordina tutti i servizi (Centri di Salute Mentale, Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, Centri Diurni, Day Hospital e strutture residenziali, vedi FAQ successive) che lo costituiscono per rispondere ai diversi, e spesso complessi, bisogni dell’utenza.

Tranne qualche eccezione in ogni ASL è presente un DSM che organizza sul territorio gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione. I servizi sono tenuti alla presa in carico degli utenti, i loro percorsi di cura e i progetti d’intervento personalizzati. Il Dipartimento di Salute Mentale può oggi essere comprensivo di, o collegato con, altri Servizi come il Servizio Materno Infantile, la Tutela della Salute Mentale e Riabilitazione dell’Età Evolutiva (TSMREE) e il Servizio Dipendenze per integrare le competenze e intervenire meglio e in continuità di presa in carico sia con soggetti in transizione dall’età minorile all’età adulta, sia con utenti che presentano quadri multiproblematici, come nel caso di una “doppia diagnosi”. Il DSM si fa carico anche dei detenuti con disturbi psichici dentro le strutture carcerarie, anche con una presa in carico alternativa sul territorio, da condividere con la Magistratura, e delle persone giudicate incapaci di intendere o di volere, socialmente pericolose e con misure di sicurezza, prevedendo come extrema ratio l’inserimento nelle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS).  Il DSM può anche integrarsi con i Policlinici Universitari

La Carta dei Servizi è un documento che descrive ad oggi “ciò che è il Dipartimento di salute mentale, cosa fa, come lo fa, quando e dove”. In altri termini contiene l’indicazione delle tipologie di servizi, degli standard di qualità e dei diritti dei cittadini/utenti dei servizi di salute mentale. Inoltre nella Carta troverai indirizzi e recapiti telefonici, le e-mail dei servizi, gli orari di apertura, le modalità di accesso, le prestazioni offerte. Puoi trovare anche i nomi dei responsabili dei Servizi. La Carta dei Servizi è prevista dal DPCM del 27/1/1994 “Principi sull’erogazione dei servizi pubblici” e dalla legge 328/2000 che all’art. 3 afferma che, per tutelare le posizioni degli utenti, ogni ente erogatore di servizi deve adottare la Carta dei Servizi, dandone adeguata pubblicità.

È il Servizio più vicino al cittadino – vi sono più unità nello stesso DSM – e coordina le risposte ai bisogni del singolo utente. Di norma è aperto sei giorni su sette, per lo più 12 ore al giorno tranne il sabato che rimane aperto solo la mattina. È il servizio che fa la prima accoglienza. Nel caso di un disturbo grave viene predisposto un “Progetto Terapeutico Riabilitativo Personalizzato” (vedi FAQ 36) con l’apporto concertato di più operatori di diversa competenza (équipe multidisciplinare) tra le figure che operano nel CSM: psichiatra, psicologo, infermiere, assistente sociale, terapista della riabilitazione e/o educatore professionale. Il CSM può fornire visite psichiatriche, colloqui terapeutici, interventi farmacologici, psicologici e sociali, visite domiciliari e socio-ambientali (esterne al CSM).

L’équipe degli operatori, dopo una prima valutazione, in collaborazione con l’utente e nel rispetto della privacy, con l’eventuale coinvolgimento dei familiari, può attivare, così come definiti nel Piano di Azioni Nazionale per la Salute Mentale, uno dei seguenti tre processi assistenziali:

  1. la collaborazione/consulenza con la medicina generale e con i servizi psicologici o sociali, per gli utenti che non necessitano di cure specialistiche continuative;
  2. l’assunzione in cura per gli utenti che necessitano di trattamento specialistico (psicoterapia e/o psicofarmacologia) ma non di interventi complessi e multi professionali;
  3. la presa in carico con le modalità di un percorso di trattamento integrato per gli utenti che presentano bisogni complessi e necessitano di una valutazione multidimensionale e l’intervento di diversi profili professionali; il percorso clinico di “presa in carico” prevede la definizione di un Piano di Trattamento Individuale per il singolo utente e – a seconda dei bisogni individuati – richiede l’identificazione del “case manager” e la ricerca e il recupero del rapporto con gli utenti “persi di vista”, oltre ad una maggiore attenzione alle famiglie nell’ambito dei programmi di cura, e lo sviluppo di programmi di prevenzione in collaborazione con gli Enti locali e con la scuola.

Il CSM è il perno dei servizi del territorio consentendo il collegamento organico e la continuità terapeutica con il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura, i Centri Diurni e le strutture residenziali pubbliche e private accreditate. Promuove altresì rapporti di collaborazione e scambio con i Medici di Medicina Generale. Ad esso spetta anche l’attività di promozione-prevenzione della salute mentale, in particolare nelle scuole.

È il Servizio psichiatrico del Dipartimento di Salute Mentale in cui i cittadini/utenti vengono ricoverasti in caso di necessità clinica (generalmente, in fase di acuzie), al cui interno si svolgono attività terapeutiche intensive, con trattamenti sanitari volontari od obbligatori (TSO vedi FAQ 21). Il reparto di degenza, ubicato all’interno degli Ospedali Generali, dispone di non più di 16 posti letto per favorire processi di personalizzazione. Opera in collaborazione con i servizi territoriali promuovendo la continuità tra ospedale e territorio, soprattutto per gli utenti non ancora noti al CSM.

Alcune esperienze in Italia dimostrano che una situazione di crisi acuta può essere validamente affrontata senza ricorrere al ricovero in SPDC, ma gestendola direttamente a domicilio, in appartamenti supportati o in altri servizi o strutture.

Essa viene curata nella fase della crisi acuta del suo disturbo. Il ricovero di norma è volontario e non può essere considerato alternativo o sostitutivo della presa in carico del paziente da parte del Centro di Salute Mentale (CSM). Il ricovero ha una durata mediamente breve (media nazionale 12/13 giorni), fino alla stabilizzazione della patologia. Al fine di garantire la continuità terapeutica, è prevista una valutazione insieme al CSM di riferimento per definire il Progetto Terapeutico Riabilitativo della persona dopo le dimissioni. Essa può tornare in famiglia, con una presa in carico da parte del CSM, andare per qualche tempo in una residenza per sub-acuti o in una residenza terapeutico-riabilitativa intensiva (ex-comunità terapeutica).

È un ricovero disposto con autorità in mancanza del consenso della persona in crisi acuta che non accetta le cure ma ne ha urgente bisogno. Il ricovero in TSO viene motivato dalla richiesta di un medico (da confermare da parte di un altro medico pubblico), viene disposto dal Sindaco[1] e convalidato dal Giudice Tutelare. Viene effettuato nel rispetto della persona e dei suoi diritti costituzionali (vedi FAQ 75) e con la presenza della polizia municipale. Deve essere accompagnato da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato. Nel corso del trattamento sanitario obbligatorio, la persona ha diritto di comunicare con chi ritenga opportuno Il TSO dovrebbe essere una misura transitoria e controllata per evitare utilizzazioni improprie. Nei casi in cui il trattamento sanitario obbligatorio debba protrarsi oltre il settimo giorno, ed in quelli di ulteriore prolungamento, il responsabile del servizio psichiatrico è tenuto a formulare, in tempo utile, una proposta motivata al sindaco che ha disposto il ricovero, indicando la ulteriore durata presumibile del trattamento stesso. IL TSO può trasformarsi in ‘trattamento sanitario volontario’ a seguito dell’accettazione da parte dell’utente. Se si tratta di un minore i genitori devono dare il loro consenso al ricovero, in mancanza del quale l’autorizzazione preventiva spetta al Giudice del Tribunale dei Minori. Chiunque è sottoposto a TSO, e chiunque vi abbia interesse, può proporre al Tribunale competente per territorio ricorso contro il provvedimento convalidato dal Giudice Tutelare.

[1] Nei comuni inferiori a 50 mila abitanti il rappresentante del sindaco è un consigliere comunale delegato dal sindaco, mentre nelle grandi città può essere un consigliere circoscrizionale o municipale anch’esso delegato dall’autorità locale”.

La contenzione consiste nella pratica di immobilizzare al letto il paziente legandolo ai quattro arti con apposite fasce di contenzione o altri strumenti che ne determinano una incisiva limitazione della libertà fisica. La contenzione andrebbe superata e quando effettuata dovrebbe rispondere a precisi criteri assistenziali e limitata nel tempo.  Non è una pratica terapeutica ma una tecnica coercitiva, che risponde ad uno stato di necessità ai sensi del codice penale e che va puntualmente monitorata al fine di impedire l’abuso, in profondo contrasto con i diritti fondamentali della persona (Vedi FAQ 75). La contenzione fisica, se attuata, deve essere limitata a circostanze eccezionali, a situazioni di emergenza ovvero a situazioni di immediato pericolo per I’incolumità fisica o Ia vita di una persona, di un danno grave alta salute, anche di terzi, fermo restando l’inefficacia dei possibili interventi meno restrittivi (contenimento relazionale, tecniche di de-escalation, appropriato trattamento farmacologico). Cioè può essere praticata solo in casi estremi in mancanza di alternative, per ii tempo strettamente necessario alla risoluzione delle condizioni che l’hanno motivata, secondo ii principio di proporzionalità rispetto alla situazione reale e attuate. L’adozione di un trattamento che contempli in via straordinaria una pratica di contenzione deve, quindi, essere correttamente motivata, monitorata e documentata.

Il rifiuto al trasferimento in altra struttura si può evitare in presenza di uno stabile rapporto di fiducia tra l’operatore/équipe di riferimento del CSM e il paziente. È importante che l’operatore che lo ha in cura al CSM instauri una relazione costruttiva basata sulla fiducia reciproca e sulla continuità del percorso terapeutico che può prevedere anche nuovi ricoveri. È auspicabile anche la collaborazione tra SPDC e le strutture residenziali. È comunque sempre possibile riattivare, se necessario, il TSO.

Sono denominate anche strutture intermedie semi-residenziali e svolgono funzioni terapeutiche e socio-riabilitative nelle ore diurne. Queste strutture sono di due tipi:

  • il Centro diurno (CD) è in collegamento diretto con il CSM, se non proprio contiguo a questo, che vi inserisce gli utenti previa valutazione e con un progetto riabilitativo personalizzato, proposto e concordato con l’équipe. E’ frequentato da chi ha patologie acute o stabilizzate anche per un lungo periodo. Non vi è un termine di frequenza che può essere anche molto prolungata nel tempo, talvolta con scarso turn over dei pazienti, svolgendo questi Centri anche una funzione di socializzazione nei confronti di persone che altrimenti rischiano di essere relegate in casa. I Centri diurni svolgono anche una funzione di integrazione socio-sanitaria, di “collegamento con il mondo” e di inclusione sociale. Essi realizzano attività educative, formative e possono utilizzare tecniche specifiche di espressione corporea e di sviluppo di capacità cognitive, affinché gli utenti possano sperimentare e/o recuperare abilità nella cura di sé, nella gestione della vita quotidiana e nelle relazioni interpersonali (competenze sociali). Vi sono anche Centri Diurni particolarmente vocati alla pre-formazione lavorativa (capacità occupazionali). Gli utenti sono seguiti, nelle situazioni più avanzate da operatori sanitari di diverse professionalità, spesso insieme a operatori di cooperative sociali e di organizzazioni di volontariato, nonché a maestri d’arte. Talvolta la stessa gestione del Centro può essere affidata ad esse;
  • Il day hospital (DH) è frequentato da pazienti con patologie acute o subacute che vengono inseriti in specifici programmi terapeutici normalmente della durata di alcuni giorni, ma che si possono protrarre anche per qualche settimana. Il DH è collocato quasi sempre nell’Ospedale Generale dove può integrare l’attività del Servizio Psichiatrico ospedaliero di Diagnosi e Cura (SPDC).

Le strutture residenziali sono di tre tipi e si differenziano per livello di intervento terapeutico-riabilitativo e per intensità assistenziale e gli inserimenti avvengono, di norma, su indicazione e autorizzazione del DSM, anche quando sono esterne ad esso. A livello nazionale esse sono state classificate e denominate come segue:

  • struttura residenziale psichiatrica per trattamenti terapeutico riabilitativi a carattere intensivo (SRP1) con la presenza di operatori nelle 24 ore. La finalità è far superare la fase più acuta del disturbo e favorire l’acquisizione di soddisfacenti capacità relazionali e di adeguati livelli di autonomia personale. E’ prevista una durata massima di permanenza, non superiore ai 18 mesi e prorogabile per altri 6, con motivazione scritta e concordata con il CSM di riferimento;
  • struttura residenziale psichiatrica per trattamenti terapeutico riabilitativi a carattere estensivo (SRP2) con presenza di operatori per meno di 24 ore; la permanenza massima non può essere superiore ai 3 anni, prorogabile per altri 12 mesi;
  • struttura residenziale psichiatrica socio-riabilitativa (SRP3) differenziata al suo interno per livelli di intensità assistenziale: la presenza del personale nelle 24 ore (SRP3.1), nelle 12 ore (SPR3.2) e per fasce orarie (SPR3.3). La durata massima di permanenza in tali strutture è definita dal Progetto terapeutico riabilitativo personalizzato (PTRP).

È una abitazione affittata da parte della ASL, dalla Cooperativa sociale, dalle associazioni dei familiari o dallo stesso utente (che può esserne proprietario), in cui risiedono in autonomia di norma da 2 a 4 persone con disturbi psichici, auto-organizzandosi e usufruendo, al bisogno o secondo le proprie esigenze, di un aiuto esterno flessibile, da parte di operatori ASL, da Cooperative sociali, volontari, tirocinanti, familiari associati. È il modello del cosiddetto “abitare indipendente con supporto flessibile”, sempre più desiderato da utenti e dagli stessi familiari che vi destinano anche risorse proprie (immobile o quota mensile) in quanto costituisce, ora o in prospettiva, la soluzione al problema che più li preoccupa, quello del “dopo di noi“. Inoltre è questa un’esperienza a forte valenza riabilitativa e facilitante l’inclusione sociale di persone che altrimenti rischiano lunghe carriere come “ospiti” nelle tradizionali strutture residenziali. Tale soluzione innovativa, che per la persona significa riappropriarsi della vita quotidiana, “a casa propria”, in un percorso di recupero di cittadinanza, può essere sostenuta anche da fondi comunali a sostegno delle spese di gestione dell’immobile.

È un tipo di gruppo sempre più diffuso e presente nei diversi Servizi di salute mentale. È costituito da operatori, familiari e utenti che, su un piano di parità, si incontrano, di norma, una volta a settimana per condividere e scambiare esperienze, riconoscere e analizzare insieme e liberamente aspetti di sofferenza. I familiari di pazienti con disturbi gravi in trattamento presso i servizi possono chiedere di fare parte di questi gruppi perché rappresentano un’esperienza che è generalmente considerata utile e positiva da coloro che ne fanno parte. Essa, in particolare, aiuta familiari e utenti a riconoscere le dinamiche interpersonali che producono sofferenza, a rinsaldare i rapporti di fiducia e a favorire lo scambio costante con gli operatori.

Il gruppo di AMA è costituito da persone che condividendo lo stesso disagio si incontrano per sostenersi e scambiarsi informazioni ed esperienze. Per i gruppi di familiari gli incontri favoriscono il rafforzamento della capacità di svolgere il ruolo di caregiver e di interlocutori degli operatori. Tali gruppi sono normalmente organizzati dalle Associazioni dei familiari (FAQ 30 ma possono essere organizzati e facilitati dalle Associazioni di Terzo settore dedicate alla promozione della salute mentale, dalle organizzazioni di volontariato (FAQ 31) e dagli stessi servizi psichiatrici pubblici.

L’Associazione di familiari è un organismo autopromosso dagli stessi familiari per svolgere un ruolo di tutela e proattivo nei confronti delle istituzioni sanitarie, dei servizi di salute mentale e degli utenti. Nascono per la tutela degli utenti svolgendo un’attività di sportello, informazione e sensibilizzazione nei confronti dei cittadini e di interlocuzione con servizi e istituzioni. Oltre a questo possono svolgere varie attività: organizzare gruppi di Auto Mutuo Aiuto, esercitare una funzione di sollecitazione e di proposta nei confronti di chi ha la responsabilità dei servizi. Operano sempre più in rete e dentro organismi partecipativi come le Consulte della Salute Mentale a livello regionale, di ASL e talvolta del contesto cittadino. Le Associazioni crescendo possono anche essere in grado di realizzare specifici servizi, complementari a quelli pubblici, a promozione di attività di socializzazione, laboratoriali-espressive, sviluppo di abilità sociali e sostegno alla gestione autonoma delle abitazioni degli utenti.

Se sei un familiare e hai un po’ di tempo puoi dedicarlo all’Associazione perché è una forma di partecipazione e di solidarietà che aiuta te e gli altri. Se hai ricevuto un sostegno dall’Associazione, partecipando alle sue attività e diventando un socio attivo hai la possibilità di restituire almeno parte di quanto hai ricevuto, generando nuove risorse da mettere al servizio di chi ne ha bisogno.

Oltre alle associazioni di familiari nel settore della salute mentale operano anche delle organizzazioni di volontariato (OdV) che si dedicano a terzi in stato di bisogno con spirito di solidarietà e gratuità per svolgere attività di “interesse generale”. Sono definiti Enti di Terzo settore, insieme a Cooperative sociali, Associazioni di promozione sociale, Fondazioni, in grado di offrire servizi anche in un rapporto di convenzione con le ASL e i Comuni. Le realtà di Terzo settore offrono servizi di vario tipo agli utenti, auspicabilmente in collaborazione con i Servizi di salute mentale, quali: sportello informativo, gruppi di Auto Mutuo Aiuto, accompagnamento dell’utente nel suo tempo libero, animazione in attività laboratoriali, attività formative e di inserimento lavorativo. Se sei un cittadino che ha tempo e competenze da destinare agli altri, dopo il normale impegno professionale e domestico, puoi renderti utile facendo un’esperienza di solidarietà possibilmente in modo organizzato, creativo e continuativo a vantaggio di altri cittadini, nel caso specifico con problemi di salute psichica. Essa ti darà un corrispettivo non economico ma di gratificazione personale, eleverà le tue competenze, il tuo capitale sociale, la tua identità di cittadino responsabile nella comunità di appartenenza.

La cooperativa sociale è un Ente di Terzo settore – ovvero non a scopo di lucro e con finalità sociali o di “interesse generale” – disciplinato da una propria legge di riferimento (L. n. 381/1991) che fornisce un servizio utile al sistema dell’assistenza psichiatrica. Si distinguono in Cooperative di tipo A e tipo B, le prime gestiscono servizi in collaborazione o a integrazione con quelli pubblici, le seconde svolgono attività finalizzate all’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, a partire dalla pre-formazione degli utenti, talvolta in connessione con i Centri diurni, per poi essere inseriti come soci lavoratori. Sono solitamente anche Cooperative di produzione e lavoro presenti in diversi ambiti di mercato.

I livelli essenziali di assistenza (LEA) sono le prestazioni esigibili, ovvero che i servizi di salute mentale dovrebbero assicurare a tutti gli utenti. I più recenti LEA sono stati approvati dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12.1.2017 aggiornando quelli emanati nel 2001. L’obiettivo è quello di evitare ingiustificate disparità di trattamento terapeutico tra i pazienti residenti nelle diverse Regioni. Le prestazioni esigibili riguardano: l’erogazione congiunta di attività e prestazioni di area sanitaria e dei servizi sociali (integrazione), previa valutazione multidimensionale dei bisogni; il coinvolgimento di tutte le componenti dell’assistenza sanitaria (compreso il medico di famiglia o il pediatra di libera scelta), sociosanitaria e sociale, così come del paziente e della sua famiglia nella definizione del Piano di assistenza individuale; la priorità per gli interventi che favoriscono la permanenza delle persone assistite al proprio domicilio. Inoltre garantiscono alle persone con disturbi mentali la presa in carico multidisciplinare (FAQ 35) e lo svolgimento di un programma terapeutico individualizzato (FAQ 36), differenziato per intensità, complessità e durata che include tutte le prestazioni disponibili presso i CSM, le strutture semiresidenziali e residenziali. Con distinguo tra assistenza ai minori e agli adulti. Per la prima volta è previsto un articolo (art. 60) dedicato alle persone affette da autismo.

Il Dipartimento di Salute Mentale si impegna a favorire la partecipazione, la presenza e le attività delle Associazioni dei familiari, degli utenti e di volontariato che compongono, insieme ad una rappresentanza delle società scientifiche, la Consulta Dipartimentale di Salute mentale. Tra gli obiettivi della Consulta vi è quello di proporre alla Direzione Generale dell’ASL e al Dipartimento di Salute Mentale la verifica dei livelli di prestazione garantiti e le iniziative che ritiene efficaci per il miglioramento dell’assistenza.

HO BISOGNO DI SAPERE DI PIÙ SUL TRATTAMENTO TERAPEUTICO RIABILITATIVO

È lo spazio di relazione basato sulla fiducia tra la persona sofferente e l’operatore o équipe curante nel quale può essere coinvolta anche la famiglia. L’alleanza terapeutica inizia con la disponibilità dell’utente alle cure, si basa sul costante colloquio tra operatore-utente e sulla valorizzazione delle risorse familiari. Ciò consente all’operatore di concertare insieme a utenti e familiari, all’équipe multidisciplinare e ad altre risorse disponibili o coinvolte, un piano di intervento personalizzato.

La diagnosi o accertamento del disturbo è un atto importante per stabilire la presa in carico con il relativo piano di intervento terapeutico-riabilitativo di una persona con sofferenza mentale. L’inquadramento diagnostico non ha però valore assoluto, è multidisciplinare, può essere rivisto sulla base di una conoscenza approfondita del paziente con cui vi è una relazione significativa, così che può variare nel tempo e con il disturbo. La diagnosi non deve essere un’etichetta che si dà ad una persona e va sempre tutelata con il segreto professionale.

La presa in carico segue la fase dell’accoglienza e della valutazione diagnostica del disturbo. Il servizio apre una cartella clinica e attribuisce il nuovo utente ad uno psichiatra o psicologo che si raccorda con altri operatori per eventuali competenze aggiunte (come, ad esempio, l’assistente sociale o il terapista della riabilitazione). Nel caso di un disturbo severo e complesso, lo affida ad una équipe multidisciplinare fissa o che si forma in base alle esigenze sia della persona sia del servizio. Tale équipe affronta in modo globale e unitario le risposte necessarie al caso, previa definizione di un Piano di trattamento personalizzato (o Piano terapeutico-riabilitativo). L’équipe allargata del servizio nelle riunioni periodiche è in grado di monitorare il caso o intervenire a rinforzo dell’operatore a cui l’utente è affidato e/o dell’équipe ad esso dedicata.

Segue la presa in carico e la valutazione dei bisogni dell’utente che attraversano più campi operativi: psicologico, farmacologico, familiare, sociale. È il progetto unitario e specifico che il servizio predispone per ogni singola persona, differenziato quindi per intensità, complessità e durata, con cui il Servizio si fa carico di un trattamento che affronti tutti i bisogni dell’utente stabilendo anche obiettivi di risultato da verificare nel tempo. L’importanza di questo progetto si accresce con la qualità della collaborazione tra utente (e suoi familiari) e operatori.  Il PTRP, come «l’alleanza terapeutica», guarda alla cura secondo una prospettiva bio-psico-relazionale e non solamente bio-medica.

L’intervento a domicilio da parte degli operatori del CSM è importante per alcuni tipi di utenti. Può essere programmato o su chiamata, ed è utile per diversi obiettivi: la conoscenza delle condizioni di vita e abitative del paziente; intervento in situazioni di crisi; verifica della terapia farmacologica; accompagnamento all’esterno del paziente. Tuttavia la visita o l’intervento a domicilio sono oggi poco praticati dai servizi. Sono in atto pratiche di attuazione di tale prestazione come il “case management” che coinvolge spesso la figura infermieristica che segue in modo proattivo i pazienti gravi e svolge così anche una funzione di coordinamento e supporto dei loro percorsi di cura e di vita. I pazienti che vivono da soli o con altri in appartamenti affittati o di proprietà possono usufruire di un supporto domiciliare offerto da Cooperative convenzionate con le ASL (es. Assistenza Domiciliare Programmata).

Il budget di salute (BdS) è uno strumento finanziario che permette di personalizzare l’assistenza favorendo l’integrazione dei servizi sociali e sanitari e delle risorse del territorio (volontariato, Terzo settore in generale, forze produttive, istituzioni) per la realizzazione dei percorsi e degli obiettivi previsti dal Piano terapeutico riabilitativo personalizzato. Il suo utilizzo è previsto in primis per gli utenti in condizioni di vita più difficili e con i bisogni più complessi e coinvolge direttamente gli stessi beneficiari e loro familiari che partecipano con proprie risorse. Il BdS si basa sulla co-progettazione e co-gestione di interventi mirati ai bisogni della persona e quindi flessibili, con supporti articolati e diversificati, non legati ad un particolare tipo di Servizio o ad un soggetto erogatore. Non tutte le Regioni hanno istituito tale strumento di intervento che pertanto è poco diffuso nei Dipartimenti di Salute Mentale.

I farmaci, a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, hanno portato un notevole contributo nel trattamento psichiatrico e possono consentire agli utenti di evitare il ricovero. Tuttavia sull’uso dei farmaci non mancano equivoci e timori. Non è una terapia sufficiente, perché se gli psicofarmaci o farmaci psicotropi curano i sintomi, non intervengono sui fattori psicologici, relazionali e sociali che hanno indotto il disturbo. Il loro consumo è oggi aumentato anche per piccoli malesseri o semplici difficoltà esistenziali e vi è un rischio di abuso, rischio che riguarda anche i servizi di salute mentale soprattutto se la relazione terapeutica con il paziente si riduce per frequenza e durata. È necessaria una buona relazione terapeutica che permetta a medico e paziente di decidere insieme come gestirli. È altresì necessario tenere conto e monitorare con attenzione gli effetti collaterali dei farmaci che possono essere a volte importanti in particolare per le alterazioni del metabolismo, l’aumento di peso corporeo e del ritmo cardiaco. Non sempre lo stesso psicofarmaco funziona su persone diverse e con gli stessi effetti collaterali. In definitiva, un progetto di intervento non si dovrebbe basare sulla sola prescrizione farmacologica perché suoi pilastri essenziali sono la relazione terapeutica e l’inclusione sociale e lavorativa della persona nel suo percorso di recupero.

Se sento le voci ho bisogno di trovare strategie per affrontarle, senza eliminare per forza l’esperienza stessa in quanto udire le voci non sempre è sintomo di un disturbo mentale. Rivolgiti allo psichiatra e stabilisci con lui il percorso più idoneo. Le voci si affrontano senza attaccarle o cercando di sopprimerne la percezione. È possibile affrontare le voci in un percorso individuale o di gruppo per uditori di voci, cioè di persone accomunate dall’esperienza allucinatoria di tipo uditivo. (vedi sito www.parlaconlevoci.it/gruppi.php). I gruppi di uditori di voci, da un lato, utilizzano una tecnica di lavoro psicologico sulle voci stesse che consiste nel considerarle come personificazioni con cui poter dialogare e contrattare e, dall’altro, enfatizzando il ruolo che gli utenti hanno nel rendersi protagonisti del loro percorso di recovery.  A titolo informativo puoi consultare i siti del movimento internazionale degli uditori di voci (Intervoice – www.intervoiceonline.org) e i movimenti nazionali (www.parlaconlevoci.it e www.sentirelevoci.it).

Oggi c’è bisogno del contributo di tutte le risorse di una comunità e, tra queste, del sapere esperienziale dei pazienti più coinvolti e dei familiari più esperti. Questi possono offrire agli utenti e ai familiari più tipi di aiuto: sostegno personalizzato, accoglienza nei Servizi, affiancamento nelle attività, aiuto all’utente perché abbia una maggiore consapevolezza delle proprie decisioni, conduzione/facilitazione in gruppi di Auto Mutuo Aiuto. Gli utenti e famigliari “esperti” – le denominazioni sono varie: come UFE, ESP, Facilitatori sociali – offrono un “supporto tra pari” dopo aver fatto prima, un percorso personale nei servizi e, poi, anche formativo, condividendo con gli operatori, che affiancano, attività e obiettivi. In tal modo offrono a utenti e familiari comprensione e relazione empatica che ne umanizza i percorsi di cura. Queste esperienze possono migliorare la qualità dei Servizi con soddisfazione e crescita personale degli stessi utenti e familiari che danno supporto (“peer supporter”). È in atto da parte di alcune regioni una regolamentazione rispetto al ruolo degli utenti e familiari esperti laddove questa è valorizzata come risorsa autonoma di “valore aggiunto” per i servizi e mai sostitutiva del loro ruolo e funzione.

Consistono in attività che si integrano strettamente e fin dall’inizio della presa in carico con l’intervento terapeutico (farmacologico e/o psicoterapeutico). Sono attività ludico-espressivo-occupazionali e sportive, che si svolgono prevalentemente presso il Centro Diurno o presso appositi Laboratori, che possono essere gestite da Cooperative sociali o da Associazioni, ed effettuate anche e, auspicabilmente, nei luoghi di svago e di attività sportiva, culturale, formativa e di lavoro di tutti i cittadini, ad esempio: palestra, altra struttura sportiva, teatro, biblioteca, bottega artigiana. L’attività riabilitativa più efficace permette agli utenti un’esperienza di socializzazione, di incontro e di scambio con altri utenti, con volontari e cittadini.

HO BISOGNO DI APPROFONDIRE LA CONOSCENZA SULLE STRUTTURE RESIDENZIALI E GLI APPARTAMENTI SUPPORTATI

Si accede tramite un progetto di inserimento che definisce obiettivi da raggiungere e si stabilisce il tempo di permanenza. Tale progetto è redatto dal Centro di Salute Mentale (CSM) che invia direttamente il paziente nella struttura residenziale pubblica idonea al caso. Altrimenti la domanda di inserimento in una struttura residenziale con il relativo progetto del CSM viene per lo più gestita tramite apposite liste di attesa delle strutture convenzionate o accreditate disponibili e ritenute dal CSM idonee per quel tipo di utente.

Il progetto di inserimento viene concordato o presentato prima al paziente e ai familiari che, nei limiti del possibile e sulla base delle loro conoscenze, possono esprimere un’opzione per la struttura più vicina a casa o da essi preferibile, così come possono eventualmente proporre all’equipe curante, o successivamente, se senza risposta, al responsabile del CSM di cambiarla se vi sono motivi che lo giustificano.

È necessario che vi sia una continuità assistenziale tra la presa in carico presso il CSM e la struttura residenziale con visite periodiche del curante del territorio presso la struttura residenziale con cui terrà contatti periodici, anche telefonici, per verificare l’andamento della situazione terapeutico-riabilitativa o socio-riabilitativa del paziente nel corso della sua permanenza. All’uscita dalla struttura residenziale, concordata con il CSM, sarà quest’ultimo a riprendere in carico l’utente.

La permanenza del paziente in queste strutture non può comportare passivizzazione, ma dovrebbe essere ricca di stimoli occupazionali, espressivi e relazionali. Non vi può essere isolamento rispetto alla vita sociale e la struttura dovrà curare rapporti, momenti di incontro e occasioni di scambio con le diverse espressioni del territorio (favorire i rapporti con familiari, persone esterne, volontari…).

Si tratta di una funzione molto importante per persone, in particolare per i giovani alle prime crisi (vedi FAQ 25). Ha uno stile di lavoro molto concentrato sulle attività e sul far fare ai giovani l’esperienza di temporanea separazione dalle famiglie, permettendo loro di lavorare sulle emozioni e sui problemi. L’esperienza della comunità intensiva aiuta altresì a comprendere dove si è bloccato il loro processo evolutivo. In questo periodo essi svolgono diverse attività che favoriscono l’acquisizione di abilità e autonomie. Questo lavoro è spesso integrato dal lavoro con le famiglie che vengono viste anche nella comunità, dove usufruiscono di colloqui individuali o insieme ai loro familiari oppure nel Gruppo multifamiliare.

Preliminarmente all’uscita dalla struttura vi è una verifica del raggiungimento degli obiettivi previsti e quindi una valutazione dei risultati conseguiti dalla struttura di cui viene messo al corrente l’operatore curante del CSM. In base a tale verifica l’équipe interna e l’operatore esterno – tenuto conto della volontà dell’utente e dei suoi familiari – definiscono un piano di inserimento sociale con l’inserimento della persona o nell’ambiente domestico di provenienza o in una struttura residenziale a maggior grado di autonomia dove avrà la possibilità di ricevere supporto e cure in modo flessibile., ovvero in un appartamento assistito.

Tale scelta alternativa è ormai presa in considerazione in modo diffuso dai Servizi di Salute Mentale (DSM, CSM e Strutture Residenziali Terapeutico Riabilitative). Le possibilità sono perciò molteplici e legate al percorso di cura del paziente. Si può avanzare la richiesta alla struttura del Centro di Salute Mentale che segue il paziente.

È possibile in ogni caso approfondire il problema e chiedere informazioni alle figure che seguono questi percorsi nelle ASL (di solito gli assistenti sociali) o alle organizzazioni/associazioni/cooperative sociali che sostengono i percorsi alternativi di supporto all’abitare (supported housing). La scelta di queste forme di abitare è comunque da concordare con l’equipe curante dl Centro di Salute Mentale di riferimento per l’utente.

In primo luogo occorre favorire e sostenere lungo tutto il percorso di cura il processo di autonomizzazione della persona mettendola al centro dell’attenzione, sostenendo i suoi desideri e le prospettive di deistituzionalizzazione. Per questo esistono possibilità molteplici di cui il Centro di Salute Mentale può tener conto nel costruire un progetto di trattamento individualizzato. Vi sono attività finalizzate a promuoverne interessi, riconoscimento di sé, emersione della creatività, sostegno alla socialità e altre che favoriscono il riappropriarsi delle abilità e competenze nel quotidiano e nella gestione della casa. Importante è anche la partecipazione paritaria di pazienti, familiari e operatori alla definizione del percorso di autonomizzazione.

HO BISOGNO DI CONOSCERE LE ATTIVITÀ DI INSERIMENTO SOCIALE

Una persona con un disturbo psichico ha come tutti bisogni relativi alla sfera della vita sociale, relazionale ed affettivo-sessuale, così come ha la necessità di recuperare abilità sociali, propri interessi e hobby, e secondo le sue potenzialità, di acquisire competenze professionali e un lavoro. In pratica il recupero ad una vita “completa” per esercitare i ruoli di ogni cittadino. E’ importante quindi che frequenti altre persone sia nei luoghi consueti della riabilitazione sociale, come il Centro diurno, ma anche al di fuori di esso, quali: biblioteche, centri sociali, cinema, strutture sportive, laboratori di attività espressivo-occupazionali o di artigiani del luogo, associazioni, e incontrando anche cittadini non utenti. A questa funzione di socializzazione e di vita sociale partecipano con iniziative specifiche sia i servizi di salute mentale pubblici, che le associazioni di familiari, e, possibilmente di utenti, le organizzazioni di volontariato, le fondazioni, gli organismi interessati. L’obiettivo oggi importante è non limitare la fruizione di queste attività alle sole strutture del circuito assistenziale della salute mentale, ma aprire spazi di socializzazione e occasioni di frequentazione di strutture del tempo libero e di impegno laboratoriale sul territorio, quelle disponibili per tutti i cittadini in maniera sinergica e integrata.

I Centri diurni costituiscono una grande risorsa per gli utenti in carico ai servizi di salute mentale. Nell’ambito di progetti terapeutico-riabilitativi personalizzati consentono agli utenti, attraverso attività di vario tipo, di sperimentare e apprendere abilità nella cura di sé, nelle attività della vita quotidiana e nelle relazioni interpersonali e di gruppo, nonché di seguire attività di formazione ai fini dell’inserimento lavorativo. Alla loro gestione talvolta partecipano anche Cooperative sociali e Associazioni di familiari e di volontariato.

I Centri diurni possono svolgere attività di socializzazione, di intrattenimento e sviluppo di potenzialità espressive o artistiche, di pre-formazione professionale e avvio al lavoro.

Il “compagno per un adulto” è un operatore della relazione ​d’aiuto messo a disposizione dal servizio pubblico o dal privato sociale – in collaborazione con la famiglia – che in un contesto di attenzione/rapporto diretto con la persona in stato di sofferenza, attua con essa una relazione di reciprocità. L’operatore entrando in una relazione di fiducia sostiene la persona nella sua quotidianità, nel proprio contesto socio-familiare, evitando istituzionalizzazioni, ​prevenendo ricoveri​, riconoscendolo non solo per il suo disagio, ma nella sua interezza di soggetto sociale. Tale figura interviene sugli aspetti sociali e contestuali del rapporto tra persona e ambiente, nell’idea che la prima possa ri/acquistare abilità sociali. L’intervento punta a superare la disabilità sociale agendo sul contesto di vita. Costruendo una ​rete intorno all’utente attraverso ​l’accompagnamento, la mediazione sociale, ​il supporto offerto alle famiglie​ per il recupero delle autonomie. Il percorso si avvale dell’integrazione tra il servizio pubblico, quello del privato sociale, del volontariato, delle associazioni di familiari,​ garantendo così risposte diversificate​ e nella massima trasparenza e salvaguardia di interessi e desideri degli utenti.

HO BISOGNO DI CONOSCERE LE OPPORTUNITÀ DI FORMAZIONE PROFESSIONALE E DI INSERIMENTO LAVORATIVO

La legge n. 68/1999 prevede il diritto al lavoro dei disabili, ovvero “alle persone in età lavorativa affette da minorazioni, psichiche o sensoriali e ai portatori di handicap intellettivo, che comportino una capacità lavorativa superiore al 45%, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità”. Tale diritto deve essere realizzato attraverso un “collocamento mirato” per inserire tali persone nel posto più adatto e con adeguate forme di sostegno. Per la loro assunzione obbligatoria vengono stabilite “quote di riserva” a seconda della dimensione aziendale ovvero del numero dei lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato. La legge definisce anche gli specifici Servizi per l’inserimento lavorativo dei disabili. Questo avverrà per richiesta nominativa sulla base delle qualifiche delle persone con disabilità o mediante la stipula di convenzioni (art. 11). Le persone con disabilità che aspirano ad una occupazione si iscrivono in un apposito elenco tenuto dai servizi per il collocamento mirato del territorio di residenza o di altro territorio dove viene istituito una graduatoria dei disabili disoccupati. Presso tali servizi opera anche un comitato tecnico con compiti di valutazione delle capacità lavorative dei candidati e messa a punto di strumenti e prestazioni atti al loro inserimento.

I “disabili psichici” in quanto presentano particolari caratteristiche di difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario, vengono avviati su richiesta nominativa mediante le “convenzioni di integrazione”. Sono così stabiliti anche tempi e modalità delle assunzioni che il datore di lavoro si impegna ad effettuare. Le convenzioni possono essere stipulate con cooperative sociali, con consorzi di cooperative e con organizzazioni di volontariato iscritte ai registri pubblici. Nell’ambito delle convenzioni sono previste deroghe ai limiti di età e di durata dei contratti di formazione-lavoro e di apprendistato. Le convenzioni di integrazione devono indicare dettagliatamente le mansioni attribuite al lavoratore disabile, prevedere forme di sostegno, di consulenza e di tutoraggio da parte degli enti pubblici competenti nonché verifiche periodiche sull’andamento dell’inserimento lavorativo.

L’art. 12 prevede altresì convenzioni di inserimento lavorativo temporaneo con finalità formative o di assunzione non inferiore ai 3 anni presso cooperative sociali e imprese sociali previo affidamento a queste di commesse di lavoro da parte dei datori di lavoro tenuti all’obbligo di assunzione. La legge n. 68 prevede per almeno tre anni incentivi, con copertura di quote variabili della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, alle imprese che assumono. Al contrario, per le imprese private e gli enti pubblici inadempienti è prevista una sanzione amministrativa.

La legge appare ancora poco applicata in assenza di pressioni e di un impegno istituzionale diretto. Per ora sono le Cooperative sociali di tipo “B” (produzione e lavoro) a svolgere in maniera preminente questo compito con risultati importanti soprattutto quando sono sostenute e incentivate dalle istituzioni pubbliche.

Il Centro di Salute Mentale che ha in carico il paziente all’interno del Piano Terapeutico Riabilitativo Personalizzato dovrebbe prevedere la possibilità del lavoro come elemento di crescita dell’autonomia del paziente. Il servizio pubblico dovrebbe impegnarsi nella ricerca di opportunità lavorative.

Per usufruire dell’accesso ai posti di lavoro previsti per le persone con disabilità è necessario iscriversi alle liste delle categorie protette presso il Centro per l’Impiego. Al fine dell’iscrizione è necessario avere almeno 15 anni di età, non aver raggiunto l’età pensionabile, essere in condizione di disoccupazione, possedere una certificazione che attesti di avere un’invalidità di almeno il 46% (stabilita da una commissione sanitaria dell’ASL competente).

Sono, come già riferito, le Cooperative sociali e gli Enti di formazione professionale, eventualmente impegnati anche nei confronti di utenti psichici. Occorre rivolgersi agli assistenti sociali dei Centro di Salute Mentale che possono ricercare opportunità formative e di lavoro collegandosi, oltre che con Cooperative di tipo “B”, con i Centri di formazione professionale, i Centri per l’Impiego, le realtà artigiane e le piccole aziende del territorio.

L’orientamento al lavoro è una attività fornita da specifiche agenzie (ad es. i Centri per l’Orientamento al Lavoro) le quali erogano gratuitamente informazioni sul mercato del lavoro e sulle opportunità occupazioni disponibili in base alle opzioni e competenze delle singole persone. Nello specifico forniscono servizi di: (a) consultazione di stampa specializzata e appositi siti informatici sull’offerta di lavoro e corsi di formazione e specializzazione; (b) supporto nella stesura del proprio Curriculum Vitae; (c) supporto nella realizzazione di un progetto professionale personalizzato; (d) organizzazione di seminari tematici e occasioni di formazione in merito agli strumenti che è possibile utilizzare durante la procedura di ricerca di lavoro.

In ogni caso è fondamentale il riferimento all’équipe del servizio di salute mentale (ed in particolare alle figure degli assistenti sociali) per ottenere supporto e indicazioni sulle risorse attivabili in direzione dell’inclusione sociale e lavorativa della persona con disturbo psichico.

Il tirocinio professionalizzante consiste in un periodo di lavoro effettuato in affiancamento ad un professionista (Tutor) per completare la propria formazione professionale.

Il tirocinio per l’inclusione sociale è uno strumento, a disposizione degli operatori dei servizi sociali, socio sanitari e sanitari, per agevolare l’inclusione sociale, l’autonomia e la riabilitazione delle persone prese in carico dai servizi sociali e/o dai servizi sanitari competenti. Il tirocinio, che non costituisce rapporto di lavoro, si realizza sulla base di un progetto, che definisce gli obiettivi da conseguire nonché le modalità di attuazione, concordato fra il soggetto che ha in carico il tirocinante, il soggetto promotore, il soggetto ospitante ed il tirocinante. In relazione ad una Convenzione stabilita tra soggetto Promotore (Centri per l’impiego, cooperative sociali, associazioni di promozione sociale, associazioni di volontariato, centri pubblici o a partecipazione pubblica di formazione  professionale o di orientamento, Enti locali, Aziende sanitarie locali) e soggetto Ospitante (Impresa, Ente Pubblico, Fondazione Associazione, Studio Professionale), Il tirocinante, seguito dai tutor, si impegna a raggiungere gli obiettivi previsti dal progetto formativo/inserimento che coinvolge i due soggetti, quello Promotore e quello Ospitante sulla base di una convenzione.

Con l’accordo del 22/01/2015 raggiunto in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome sono disponibili le “Linee guida per i tirocini di orientamento, formazione e inserimento/reinserimento finalizzati all’inclusione sociale, all’autonomia delle persone e alla riabilitazione”. Inoltre le Regioni dispongono di normative di riferimento specifiche.

Le borse lavoro sono strumenti solitamente gestiti dagli Enti Locali (es. servizi sociali municipali) e consistono in una misura di sostegno economico a fronte di un progetto di tipo lavorativo.

Anche in questo caso è fondamentale il riferimento all’équipe del servizio di salute mentale (ed in particolare alle figure degli assistenti sociali) per ottenere supporto e indicazioni sulle risorse attivabili. Ciò appare quanto mai necessario a fronte di un ambito attraversato da numerose novità normative quali ad esempio quelle del Reddito di inclusione e del Reddito di cittadinanza, ecc.

Il laboratorio protetto è una opportunità occupazionale utilizzata da sempre per i “disabili” che possono svolgere delle attività senza l’assillo della produttività perché si regge su fondi pubblici. Non è pertanto un’esperienza professionale, pur fornendo delle competenze specifiche, ma impegna le persone al di fuori delle regole del mercato del lavoro e del mondo del lavoro a cominciare dal numero ridotto di ore che li vede impegnati.

Le Cooperative di tipo B o di “produzione e lavoro” collaborano con i servizi di salute mentale nella pre-formazione degli utenti psichici e hanno un ruolo importante nel promuoverne l’inserimento in qualità di soci nelle attività da esse gestite. Le attività lavorative delle cooperative sono talvolta sostenute dagli Enti Pubblici (norme stabilite dall’art. 5 della legge 381/1991) attraverso Convenzioni e l’affidamento di commesse mediante trattative riservate (in deroga alle normative europee) a fronte di servizi che prevedano l’impiego di soci lavoratori svantaggiati (tra i quali sono inclusi soggetti in carico ai DSM) pari ad almeno il 30% del totale. Anche la legge n. 68/1998 le valorizza potendo esse acquisire commesse di lavoro finalizzate all’occupazione di disabili e malati psichici da imprese pubbliche o private (vedi FAQ 50). Le Cooperative più attive sono quelle che da più anni collaborano con i servizi di salute mentale e che talvolta, in applicazione di quanto previsto dal Progetto Obiettivo Salute Mentale, sono state promosse dai Dipartimenti di salute mentale stessi, costituendo in tal senso un modello ante litteram di co-progettazione.

HO BISOGNO DI CONOSCERE LE FORME DI ASSISTENZA, DI PREVIDENZA SOCIALE E DEL “DOPO DI NOI”

Viene considerato invalido civile la persona che abbia minorazioni congenite o acquisite, anche a carattere progressivo (sono compresi gli irregolari psichici e le insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali) e una riduzione permanente della capacità lavorativa in misura superiore a 1/3 (33%). Lo stato invalidante deve essere indipendente da causa di servizio, lavoro o di guerra.

Per ottenere le prestazioni economiche di competenza INPS (la pensione), è necessario un grado di invalidità fra il 74% e il 100%.

Oltre ai requisiti sanitari sono richiesti anche dei requisiti amministrativi:

  • età compresa fra i 18 e i 66 anni e 7 mesi;
  • essere cittadino italiano o UE residente in Italia, o essere cittadino extracomunitario in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo;
  • disporre di un reddito annuo personale non superiore a un importo aggiornato ogni anno (per il 2019 € 4.906,72 per invalidi parziali e € 16.814,34 per invalidi totali);
  • non svolgere attività lavorativa (è possibile in casi particolari);
  • l’assegno viene concesso, in assenza di iscrizione alle liste di collocamento, nel caso l’interessato sia stato dichiarato non collocabile al lavoro, oppure dimostri la frequenza scolastica.

Il beneficiario della pensione di invalidità civile riceverà un assegno mensile pari a euro 285,66 per 13 mensilità.

Al compimento dei 66 anni e 7 mesi il beneficiario della pensione di invalidità vede adeguato tale importo a quello dell’assegno sociale e non è più sottoponibile ad accertamento dei requisiti sanitari.

Per ottenere la prestazione è necessario il riconoscimento della minorazione previo accertamento medico legale e rilascio del verbale sanitario.

A tal fine, si deve:

  • Compilare – in triplice copia – il modulo di domanda distribuito presso gli uffici competenti dell’ASL (Ufficio Invalidi Civili del Distretto Sanitario);
  • acquisire dal medico di base o da un medico specialista di una struttura pubblica il certificato medico introduttivocon il codice allegato, redatto su un apposito modulo distribuito presso gli uffici della competente ASL;
  • il modulo – distribuito presso gli uffici competenti dell’ASL – compilato dal richiedente relativo al consenso al trattamento dei dati personali dello stesso. Nel caso in cui il richiedente sia impossibilitato a consegnare la domanda è necessaria la delega – firmata dal richiedente – compilata sull’apposito modulo distribuito presso gli uffici competenti della ASL; (vi) fotocopia del documento d’identità e della tessera sanitaria – del richiedente – in corso di validità.
  • inoltrare all’Inps, attraverso il servizio Invalidità civile – Procedure per l’accertamento del requisito sanitario (InvCiv2010) la domanda di Accertamento sanitario.

L’iter di riconoscimento si conclude con l’invio da parte dell’INPS del verbale di invalidità civile tramite raccomandata A/R o all’indirizzo PEC (se fornito dall’utente) e resta disponibile nel servizio Cassetta postale online.

La visita deve essere effettuata entro tre mesi dalla data di presentazione della domanda (D.P.R. 618/94) e l’intero iter deve concludersi entro nove mesi dalla data di presentazione della domanda.

Nel corso della visita di accertamento di invalidità civile è prevista la possibilità di farsi assistere dal proprio medico di fiducia.

Ricevuto il verbale con il riconoscimento della minorazione, il cittadino deve presentare il modello AP70 utilizzando il servizio:

Invalidità civile – Invio dati socio-economici e reddituali per la concessione delle prestazioni economiche.

Sia per l’invio della domanda di Accertamento sanitario sia per la verifica dei requisiti socio-economici (modulo AP70), il cittadino può utilizzare autonomamente i servizi online del portale INPS, accedendovi con codice fiscale e PIN o SPID. In alternativa, si può fare domanda tramite gli enti di patronato attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi. L’assistente sociale del Centro di Salute Mentale potrà assistervi nelle pratiche.

APPROFONDIMENTI

Per invalidità dal 74% al 99% – assegno mensile di assistenza:

https://www.inps.it/nuovoportaleinps/default.aspx?itemdir=50196

Per invalidità del 100% pensione di inabilità per invalidi civili:

https://www.inps.it/NuovoportaleINPS/default.aspx?itemdir=50265

Indennità di accompagnamento:

https://www.inps.it/NuovoportaleINPS/default.aspx?itemdir=50194

Provvidenze economiche per invalidi – Superabile INAIL

https://www.superabile.it/cs/superabile/provvidenze-economiche-per-gli-invalidi-civili.html

Una persona con invalidità civile – a prescindere dall’età – ha diritto alla pensione di reversibilità del genitore se possiede un reddito annuo inferiore a 16.664,36 euro.

Qualora la persona inabile (beneficiaria di pensione di invalidità civile) percepisca anche la pensione “assegno” di accompagnamento, per avere diritto alla pensione di reversibilità deve possedere un reddito annuo inferiore a 22.860,56 euro.

Perché i figli ed equiparati invalidi indipendentemente dall’età possano ottenere la pensione di reversibilità al momento del decesso del genitore, essi devono: essere riconosciuti inabili al lavoro, non avere un sufficiente reddito personale ed essere a effettivo carico dell’assicurato o del pensionato se questi, prima del decesso, provvedeva al loro sostentamento in maniera continuativa”. Il termine “sostentamento” implica sia la non autosufficienza economica dell’interessato, sia il mantenimento da parte del lavoratore o pensionato deceduto.

Occorre specificare che l’inabilità è un concetto che va diversificato da quello di invalidità civile. Sebbene i termini siano gli stessi, esistono differenze fondamentali tra il concetto di inabilità al lavoro e quello di inabilità derivante da invalidità civile, sia in termini di modalità di valutazione, sia in termini di benefici spettanti.

Può infatti accadere che chi ha già un riconoscimento di invalidità, anche se del 100% o del 100% con necessità di assistenza continua, non ha diritto automaticamente alla pensione di reversibilità così come chi ha il 75% non ne è automaticamente escluso.

Deve essere riconosciuto “inabile al lavoro” dall’ente erogatore della prestazione.

Il richiedente la prestazione dovrà, infatti, sottoporsi ad un ulteriore esame per accertare la totale inabilità al lavoro come regolata dalla legge 222/1984.

APPROFONDIMENTI

Pensione ai superstiti indiretta e di reversibilità

https://www.inps.it/NuovoportaleINPS/default.aspx?itemdir=50605&lang=IT

La prestazione è compatibile con lo svolgimento di attività lavorativa a differenza di quanto accade con l’assegno mensile di invalidità riservato agli invalidi parziali.

Resta inteso che dall’attività lavorativa non deve derivare un reddito superiore a quello annualmente stabilito per il riconoscimento della prestazione in parola cioè, per il 2019, € 16.814,34.

In merito al requisito della totale inabilità, il Ministero del Lavoro ha infatti indicato che questo non deve essere inteso come assoluta impossibilità a svolgere qualsiasi proficuo lavoro (Circolare Ministero Lavoro 5/1988).

pensione di inabilità per invalidi civili:

https://www.inps.it/NuovoportaleINPS/default.aspx?itemdir=50265

La persona con la pensione di invalidità civile può avere delle entrate per delle attività lavorative se il reddito annuo derivante da tali attività è inferiore a 4.800 euro.

Gli utenti riconosciuti portatori di handicap (oggi “disabili”) ai sensi della legge n. 104 e i familiari che prestano loro assistenza hanno diritto ad una serie di benefici socio-sanitari, amministrativi e/o economici (sgravi fiscali, agevolazioni nel posto di lavoro…). In particolare per i familiari è possibile usufruire di un periodo di congedo retribuito (massimo 2 anni) per la necessità di cure prolungate del congiunto disabile grave da almeno 5 anni. La domanda va presentata all’Ufficio Invalidi Civili del Distretto Sanitario (verificare) allegando un certificato medico che attesti la patologia invalidante e l’apposito modello compilato.

L’amministratore di sostegno è una figura giuridica, istituita dalla Legge n. 06/2004, che ha il fine di affiancare quelle persone che, per effetto di un’infermità o di una menomazione fisica e/o psichica, si trovano nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi. Promuove quindi interventi di sostegno in grado di offrire risposte alle loro esigenze con la minore limitazione possibile della loro capacità di agire e permettere la piena realizzazione dei diritti sociali garantiti dalla Costituzione.

L’amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare con incarico temporaneo o indeterminato nel tempo, avrà cura della persona e del patrimonio del beneficiario. Può così stipulare contratti come acquistare o vendere o affittare un appartamento, investire somme di denaro, comunque i suoi poteri vengono definiti nel decreto di nomina salvaguardando le autonomie residue del paziente.

Un delle preoccupazioni maggiori dei familiari anziani di persone con disturbi psichici è quello di garantire a questi un futuro dopo la loro scomparsa.  La legge n. 112 del 2016 fornisce “disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare”, cioè gli strumenti ai quali si può ricorrere per garantire un futuro a persone con disabilità grave dopo la morte di parenti che si prendevano cura di loro. Ciò nell’intento di favorire il benessere, l’autonomia e l’inclusione sociale di queste persone ed evitarne l’istituzionalizzazione.

In primo luogo, la legge garantisce delle agevolazioni fiscali a loro beneficio come: l’esenzione dall’imposta di successione e donazione e la detraibilità delle spese sostenute per le polizze assicurative finalizzate alla loro tutela.

Inoltre, la legge istituisce un fondo – gestito dalle Regioni – al quale è possibile accedere per finanziare progetti che prevedono, in particolare:

  1. percorsi programmati di deistituzionalizzazione e di supporto alla domiciliarietà in abitazioni o gruppi-appartamento;
  2. interventi innovativi di residenzialità con creazione di soluzioni alloggiative di tipo familiare e di co-housing, anche a sostegno di forme di mutuo aiuto tra disabili;
  3. programmi di accrescimento della consapevolezza, di abilitazione e di sviluppo delle competenze per la gestione della vita quotidiana e per il raggiungimento della maggior autonomia possibile.

Le persone possono fare domanda per accedere ai servizi dei bandi del “dopo di noi” se: hanno una disabilità grave certificata o una invalidità con il beneficio dell’indennità di accompagnamento; sono in età adulta (18-64 anni); prive del sostegno familiare in quanto hanno perso entrambi i genitori o questi non sono in grado di fornire loro adeguato sostegno.

Al finanziamento dei programmi e all’attuazione degli interventi possono compartecipare Regioni, Enti locali, Enti di Terzo settore, altri enti privati competenti e le associazioni di famiglie. Questo è altresì necessario perché la legge dispone di una scarsa dotazione di finanziamenti. Si attende anche che vengano definiti a livello nazionale gli indirizzi attuativi della legge e, a seguire, la programmazione degli interventi, materia di competenza esclusiva delle Regioni. La gestione degli interventi è invece affidata ai Comuni singoli o associati in Ambiti.

L’assistente sociale del Centro di Salute Mentale vi può assistere nelle pratiche.

I servizi bancari forniscono la possibilità di applicare alla propria carta prepagata (associata al conto corrente) specifici limiti sia per il prelievo tramite ATM che per i pagamenti effettuati per acquistare online.

L’INPS prevede l’accesso del cittadino alla piattaforma online “MyINPS” utilizzando il codice PIN personale fornito da INPS, il proprio account SPID o la Carta Nazionale dei Servizi. In “MyINPS” è possibile gestire le proprie pratiche direttamente online.

Il nucleo familiare richiedente può beneficiare del Reddito di Cittadinanza anche qualora uno o più componenti usufruiscano delle prestazioni economiche destinate alle persone con invalidità civile. In questo caso, la misura del Reddito di Cittadinanza andrebbe ad integrare – rispettando i limiti di soglia reddituale prevista – i benefici economici percepiti in virtù della propria condizione di inabilità lavorativa.

Per poter fare richiesta del reddito di cittadinanza è necessario soddisfare una serie di requisiti, tra i quali: (i) avere più di 18 anni; (ii) essere disoccupati o inoccupati; (iii) rispettare i limiti di reddito previsti per beneficiare della misura[1].

La domanda può essere presentata, a partire dal 6 marzo 2019: (i) in modalità cartacea presso gli uffici postali avvalendosi del modello di domanda predisposto da INPS; (ii) online direttamente al link www.redditodicittadinanza.gov.it utilizzando le credenziali SPID; (iii) presso i CAF con date e modalità che saranno comunicate successivamente.

[1] Occorre però verificare se la pensione di invalidità e l’eventuale assegno di accompagnamento vengono conteggiati come reddito ai fini del calcolo dell’ISEE.

 

HO BISOGNO DI RISOLVERE UN PROBLEMA CON I SERVIZI DI SALUTE MENTALE

I Servizi accolgono anche i cittadini stranieri non in regola con l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale. Gli utenti stranieri possono chiedere l’intervento della figura del mediatore interculturale ed avere la possibilità di conoscere la Carta dei Servizi in una lingua internazionale.

La legge afferma la necessità di portare la cura della salute mentale in prossimità del paziente e prevede l’istituzione dei CSM territoriali per cui consiglia di rivolgersi al Servizio del proprio territorio.

La scelta di rivolgersi ad altri CSM deve essere motivata e concordata con il Servizio di competenza territoriale.

La scelta del medico deve essere effettuata sulla base delle valutazioni dell’équipe d’accoglienza del CSM territoriale competente.

In caso di criticità nel rapporto con il sanitario di riferimento, vi è la possibilità di un confronto con il responsabile del CSM a cui motivare la richiesta di cambiamento. Di norma tale richiesta può essere accolta salvo che non sia indotta da situazioni e vissuti legati al disturbo della persona che il CSM non accoglie nell’interesse dell’utente.

La risoluzione di situazioni di conflittualità tra l’utente e l’operatore di riferimento correlate a gravi difficoltà di trattamento spetta al responsabile del Servizio del Centro di Salute Mentale.

Il Dipartimento di Salute Mentale (DSM) tutela i pazienti e loro famiglie che subiscono atti e comportamenti che possono negare o limitare il diritto di usufruire delle prestazioni attraverso il ricorso alla misura del “reclamo”. Questo va presentato all’Ufficio per le Relazioni con il Pubblico (URP) dell’ASL che lo inoltrerà al DSM al fine di poter rispondere al reclamo di norma entro 30 giorni.

Il vincolo della privacy esiste ed è sostenuto da una norma che va rispettata. Il Servizio che coinvolge la famiglia e costruisce con essa un’alleanza terapeutica, può motivare l’utente a dare un consenso in cui viene espressa la sua volontà affinché i familiari siano informati sul suo percorso terapeutico.

Ne hanno diritto se l’utente è minorenne. Nel caso di un utente maggiorenne non ne hanno diritto a meno che l’utente non esprima la volontà che la sua famiglia sia informata ai sensi della legge sulla privacy.

Il servizio o l’operatore è tenuto a raccogliere il consenso informato del paziente e a predisporre e comunicare al paziente il PTRP che può essere modulato in relazione ai momenti di verifica da parte dell’équipe terapeutica.

Le REMS sono strutture sanitarie residenziali dei Dipartimenti di Salute Mentale, istituite dopo la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari avvenuta con le leggi 9/2012 e 81/2014, che esplicano funzioni terapeutico-riabilitative e socio riabilitative in favore di persone affette da disturbi mentali, autori di fatti che costituiscono reato. Non hanno più di 20 posti letto ed internamente hanno una gestione esclusivamente sanitaria.

Possono accogliere autori di reato affetti da disturbi mentali, giudicati non imputabili e ritenuti socialmente pericolosi, e per i quali il giudice dispone pertanto una misura di sicurezza detentiva, anche in via provvisoria come misura residuale (temporanea e transitoria) in base alla legge 81/2014; .  La misura di sicurezza infatti dovrebbe essere di norma non detentiva, e solo dove quest’ultima non sia praticabile o idonea il ricovero in REMS dovrebbe rappresentare l’extrema ratio.

Il Dipartimento di Salute Mentale di riferimento territoriale dell’”internato” deve predisporre un progetto terapeutico riabilitativo individualizzato al fine di poter consentire al giudice il reinserimento.

Le misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima.

L’art. 32 della Costituzione stabilisce che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Le esigenze delle persone con disturbi psichici richiedono politiche orientate a garantire una cittadinanza possibile che permetta loro di partecipare liberamente e attivamente alla vita della comunità. Per questo la Costituzione afferma la “pari dignità sociale” e l’uguaglianza sostanziale (e di trattamento) di ogni persona “senza alcuna distinzione”, attribuendo alla Repubblica il compito di “rimuovere gli ostacoli” che ne impediscono la piena realizzazione (art. 3). Solo così la persona può adempiere al “dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società” (art. 4, secondo comma).